Regia di Claude Miller vedi scheda film
In una cittadina della provincia francese due bambine sono state strangolate e stuprate a otto giorni di distanza. Affiancato dal gretto ispettore Belmont (Marchand), l'ispettore Gallien (Ventura) convoca alla centrale di polizia il notaio Martinaud (Serrault) per una lunga notte d'interrogatorio. E' il 31 dicembre e a pochi passi dal commissariato si sta celebrando il tradizionale veglione di capodanno, presenziato da tutti i notabili del paese. A un certo punto dell'interrogatorio si presenta in centrale Chantal Martinaud (Schneider), la moglie del notaio, ma l'uomo si rifiuta di vederla...
"Stato di fermo", questo l'esatto significato dell'espressione "garde à vue", esprime con precisione e plumbea claustrofobia l'impronta narrativa e formale del terzo film di Claude Miller. Una stanza della centrale di polizia, due personaggi impegnati in un braccio di ferro che non disdegna i sotterfugi e un piccolo coro di personaggi marchiati dalla meschinità e dalla civilissima ferocia della normalità. Pur non immune dalla crosta di pregiudizi che condizionano la vita in una città di provincia, l'ispettore Gallien è determinato più dal desiderio di scoprire l'assassino delle bambine che dall'ambizione personale o dallo spirito di rivalsa sociale. Anche se sotto il suo ruolo cova il disprezzo per i potenti e per le loro cerimonie (emblematico il suo organizzare l'interrogatorio proprio la notte di capodanno), Gallien è un flic e cerca di fare il proprio lavoro senza troppa animosità.
Ci riesce? Sì e no. A tormentarlo non è tanto il pruriginoso sottobosco sessuale che si cela in ogni famiglia ricca (compresa quella del notaio Martinaud), quanto il ricordo martellante dei corpi straziati delle bambine, abbandonati su una spiaggia o gettati su un cumulo di detriti. Immagini di intollerabile violenza: di fronte al grande male di questi segni di ingiustizia, il piccolo male rappresentato dalle perversità domestiche di tutti i Martinaud del mondo passa inevitabilmente in secondo piano. Ma in fondo queste immagini di scempio su corpi indifesi non sono troppo dissimili dalla violenza esercitata dalle classi potenti nei confronti di quelle vulnerabili. Sono simboli di prevaricazione, emblemi di annientamento.
E allora, fomentato dalla moglie del notaio in un dialogo in cui anch'essa si rivela vittima dell'ingranaggio sociale, Gallien si accanisce contro Martinaud, lo incalza, lo tartassa, scavandogli il vuoto intorno. Il notaio crolla, ma a imporsi è il trionfo ironico del pregiudizio e non la vittoria della giustizia. Il caso, alleato dell'assurdo, si diverte a cambiare le carte in tavola: colpevole non è il solito delirio di onnipotenza dell'alta borghesia, ma il gretto individualismo indifferenziato (fare attenzione alle prima sequenza nella centrale di polizia). Anche la lettura rigorosamente sociologica, come dire?, salta per aria, lasciando sul proprio cammino soltanto l'illusione di aver capito. Un'illusione mor(t)ale.
Adattando il romanzo Série noire "À table!" ("Brainwash") di John Wainwright, Claude Miller, accompagnato dalle soffianti musiche di Georges Delerue e scortato dai calibratissimi dialoghi di Michel Audiard, si dedica alla costruzione di una messa in scena geometrica, interamente giocata sulle simmetrie, sulle inversioni, sui rapporti di grandezza e sui giochi di luce. Se i primi piani dardeggiano sguardi diffidenti ed espressioni corrucciate, sono le composizioni in diagonale e in profondità di campo a comunicare un senso molto meno spicciolo e combustibile: impercettibili slittamenti ottici, piccole fratture prossemiche che fanno scattare momenti di improvvisa tenerezza o di inconfessabile complicità nel cuore del gioco al massacro. Un "kammerspielpolar" battuto dalla pioggia incessante e intriso di un'indicibile amarezza.
Remake USA del 2000 ("Under Suspicion") diretto, pare disastrosamente, da Stephen Hopkins, con Gene Hackman, Morgan Freeman e Monica Bellucci.
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