Regia di Giuseppe Tornatore vedi scheda film
E' un film ambizioso, al quale il talento del suo autore non è del tutto sufficiente.
Per cominciare con i pregi, si vede che Tornatore ci sa fare, specie quanto alla tecnica e alle inquadrature, che sono varie e studiate bene. Anche l'ambientazione la trovo buona: un misterioso commissariato di polizia, disperso in qualche zona fuori mano probabilmente dell'Appennino, in una notte di tregenda battuta dalla pioggia, quando tutto sembra un po' sinistro e infido. E' un'ambientazione quasi surreale (si pensi all'ubicazione dell'edificio che si vede alla fine), con interni spogli e inospitali: mobilia ridotta al minimo, disordine, sporcizia, segni di un trasloco perpetuamente in atto, acqua che gocciola da un tetto che non tiene, degli strani personaggi, una luce diafana e grigiastra. E' innegabile la cura che regista e scenografo hanno messo nella costruzione di questi ambienti.
Qualche problema, secondo me, presenta invece il personaggio del protagonista (Depardieu): è estremo, ermetico, un po' troppo per essere credibile e realistico. L'attore si impegna e ci mette del suo, ma qui i problemi stavano nella sceneggiatura e nelle intenzioni dello stesso Tornatore. Che ritratto di uomo intendeva darci? Uno scrittore in crisi o il paradigma dell'uomo comune alle prese con i misteri della vita? In ogni caso, è un personaggio costruito quasi solo con la testa, e poco pensando a persone vere. Stessa cosa per il barbone filosofo, che si vede solo in fotografia.
E qui arriviamo ad un'altra debolezza del film, cioè le intenzioni metaforiche, che si sono, e si evidenziano di più alla fine. In questo caso il fosso è troppo largo e al regista l'ardito salto non riesce. Chi è quel dimesso figuro sotto la coperta che beve il latte? Simboleggia un altro uomo-tipo alle prese con l'assurdità della vita e della realtà? Pare che il film voglia lanciare questo messaggio: la realtà è contraddittoria e noi la vediamo in modo distorto, dimentichiamo ciò che non ci piace, e spesso non siamo coscienti della nostra autocensura. L'argomento potrebbe essere interessante, però secondo me andava espresso in modo meno virtuosistico e ambizioso.
Bravi Polanski, che è anche un discreto attore oltre che un bravo regista, e Sergio Rubini.
Una nota sul doppiaggio: è noto come Polanski e Depardieu parlino un discreto italiano, quindi me sarebbe piaciuto di più sentirli con le loro voci originali, nonostante l'accento. Specie il primo, la cui voce aggiunge molto all'aspetto fisico e alle movenze.
In generale, si guarda abbastanza volentieri, ma soprattutto colpisce. Io me lo ricordavo bene dopo tanti anni dalla sua uscita, quando lo vidi la prima volta.
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