Regia di Robert Altman vedi scheda film
Il titolo italiano può trarre in inganno: per quanto Short Cuts si concentri sulla megalopoli statunitense per eccellenza, Los Angeles, e per quanto si respirino tutti i problemi dell’America di ieri (e di oggi: in questo senso la traduzione è ancora attuale), quella descritta da Altman è una condizione umana universale. Di più: la condizione umana universale. È la condizione di uomini e donne che non riescono a comprendersi, sempre distanti tra loro, anche quando vivono sotto lo stesso tetto o indifferentemente si sfiorano per strada; è la condizione di chi non riesce ad esprimere la propria sofferenza in maniera adeguata, non può far sapere, capire, provare il proprio dolore al suo prossimo o al resto del mondo; è la condizione ontologica dell’uomo, sempre in preda alle bizzarrie del caso (che agisce tuttavia per mezzo dell’ineluttabile rapporto causa-effetto) e impotente di fronte agli eventi, al desiderio, alla solitudine. Ogni azione, anche quella apparentemente più insignificante, determina il resto della nostra vita: è (per quanto sia difficile ammetterlo) la nostra vita. Possiamo sforzarci di credere che noi siamo diversi dal resto del mondo, che non appena avremo l’occasione faremo cose eccezionali, ma poi basta essere poco comprensivi verso l’altro una volta di troppo per mandare tutto a scatafascio ed essere assaliti per sempre dai rimorsi (e questo, nel migliore dei casi, accade quando uno ha la coscienza delle proprie azioni). Basta l’infedeltà occasionale di Jack Lemmon verso la moglie per cambiare la vita di entrambi e di chi sta loro intorno, fino, si può ipotizzare, a causare la morte del nipote. Sarebbe bastato un evolversi leggermente diverso dei fatti…ma le Short Cuts altmaniane sono l’opposto e il complemento delle Lost Highways lynchane, dove tutto è possibile e la causa-effetto è solo questione di associazioni mentali. In Altman non si torna indietro, quello che accade è definitivo e, soprattutto, visto con una macchina da presa, è insignificante. Uno è il mondo visto a diversi metri dal suolo, a bordo di un elicottero che sparge insetticida, con la terribile obiettività di uno sguardo partecipe ma disilluso, sofferente perché consapevole; l’altro è lo sguardo interno agli animi che evadono, si illudono, sognano, odiano ed amano di David Lynch, uno sguardo altrettanto reale e doloroso su di una condizione altrettanto ontologica e universale, poiché diretto sulla soggettività che è di ognuno e di ognuno è il centro del mondo. Nello sguardo di Lynch (e nel nostro, co-autori di ogni suo film) tutto viene investito di un valore, per quanto soggettivo (i telefoni, i colori, le chiavi, i capelli e via elencando alcune immagini ricorrenti), e non importa altro; in quello di Altman l’incedere del mondo è inarrestabile e tutto sembra indifferente a tutto il resto. Altman non contraddice Lynch: anche in lui solo dentro l’animo di chi soffre o ama il dolore prende forma ed aumenta a dismisura, rendendo le cose non più indifferenti (ma la mdp, come in Cronenberg, non può entrare all’interno). Il resto del mondo non può capire il dolore dei singoli, non lo reggerebbe. La specie per sopravvivere non vuole vedere la realtà. La compassione e l’empatia (tentativi di superare la soggettività per com-prendere l’altro) sembrano le reazioni più umane e apprezzabili, ma non hanno alcun potere effettivo se non quello di abbattere momentaneamente le barriere tra persone. La giovane che suona il violoncello si suicida dopo aver constatato per l’ultima volta l’egocentrismo della madre, dopo aver sofferto lei stessa per la disgrazia dei vicini; la donna clown inizia a disprezzare il marito notando la sua indifferenza di fronte allo stupro e all’omicidio di una ventenne di cui ha ritrovato il cadavere. Short Cuts è uno splendido trattato sul dolore affrontato nella sua universalità: Altman è lontano da ogni schematismo o distinzione di classe, razza, nazionalità. Gli abitanti di L.A. sono un campione ideale, le strade di quella città identiche a quelle di ogni altra nel mondo. La singolarità dei suoi personaggi è inesprimibile, irriducibile (ma visti dall’esterno si confondono tra loro); il dolore inconsolabile, gratuito, ineluttabile (e, ancora una volta, irrappresentabile se non al prezzo di renderlo accettabile). Short Cuts ferisce nel profondo, scuote senza ricattare (Paul Thomas Anderson, abile seguace di Altman, si dimentica sovente di quest’ultimo punto), illumina senza voler definire. Immenso. (da vedere in coppia con Mulholland Drive, per rimanere negli stessi paraggi: quelli del grande cinema)
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Complimenti, soprattutto per gli accostamenti col cinema di Lynch... Bentornato!!
Sebbene in prima battuta Magnolia sembri avere molte assonanze con America oggi in realtà è un film tematicamente assai diverso, decisamente intimista e poeticamente tragico, quindi non credo avesse l'obiettivo di scuotere secondo analoghi criteri. Altman si concentra qui su storie di carattere "privato" oscillanti tra minimalismo e iperrealismo per delineare un simbolico e maestoso trattato a sfondo sociologico sugli anni "90 e 2000. Alimenterei dunque l'ideale parallelismo tra i due grandi autori citando per omologia d'intenti senz'altro Boogie nights e anche il meno variegato ma ugualmente imponente affresco novecentesco di There Will be Blood in cui come in questo capolavoro, la diegesi vibra continuamente tra privato e universale, emblema e immanenza. Dopo averti letto Snake, resta comunque un fatto (sottolineato anche da Peppe e gli altri): la recensione è assolutamente superba, impareggiabile nel spalancare gli occhi verso l'importanza dell'opera, finemente acuta nell'usare come grimaldello la poetica per certi versi complementare di Lynch (e Cronenberg). E' fra le migliori del sito e a distanza di 6 anni conta sole 7 utilità... FilmTv oggi.
Grazie Inside man, sei sempre molto gentile. In verità non rileggo più le mie vecchie recensioni, evidentemente non sapevo nemmeno cosa fosse un paragrafo. Però le scrivevo con il cuore. Detto questo, le cose cambiano e, per esempio, il mio giudizio su Thomas Anderson è migliorato molto. Altre cose rimangono le stesse (quello che penso di un film monumentale come America oggi, oppure la mia passione per Herzog e Carpenter, che a giugno andrò a sentire in concerto a Barcelona, il suo primo live!).
A parte tutto questo, spero tu stia bene :-) Saluti dal piovoso Belgio
Che piacere risentirti Snake!! Dunque ti sei davvero trasferito a Bruges? Bravo. Qua ci si arrabatta sempre peggio..., piuttosto quando ci farai leggere qualcos'altro di tuo sul cinema? Un salutone.
Più che scrivere di cinema sto cercando in tutti i modi di "fare" qualcosa, anche solo l'assistente o giù di lì. Ma non è facile. Magari prima o poi torno a scrivere qualche recensione. Andare al cinema qui costa troppo (14 euro) quindi ci vado poco. Un salutone :-) Ci si sente/vede
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