Regia di Mario Monicelli vedi scheda film
Una banda di improbabili ladri tenta il colpo di una vita. Grazie a un raggiro ai danni di Cosimo (Memmo Carotenuto), Peppe, detto "er Pantera" (Vittorio Gassman), un dongiovanni da strapazzo e pugile senza talento, riesce a sapere che è possibile effettuare un colpo facile e redditizio al Monte di Pietà. Non gli resta che formare la squadra giusta e così recluta "Capannelle" (Carlo Pisacane), uno sfaccendato che pensa solo a mangiare, Michele "Ferribotte"(Tiberio Murgia), un siciliano gelosissimo della sorella Carmela (Claudia Cardinale), Mario (Renato Salvatori), un orfano sfigato che si innamora proprio di Carmela, sempre sola e sempre segregata in casa, e Tiberio (Marcello Mastroianni), con la moglie in prigione e il bebè a carico permanente. Vanno a scuola da Dante Cruciani (Totò), uno scassinatore in pensione che li istruisce sui segreti delle casseforti. Il piano è infallibile : bisogna entrare nell'appartamento nell'appartamento attiguo a quello dove c'è la sede del Monte di Pietà, forare il muro di confine, aprire col materiale idoneo la cassaforte e mettere le mani sull'agognato bottino. Il colpo finisce sui giornali, perchè le autorità competenti non si spiegano perchè è stata scassinata una finestra e buttata giù una parete per mangiarsi un piatto di pasta e ceci.
I soliti ignoti (1958): Totò, Carlo Pisacane, Renato Salvatori, Marcello Mastroianni, Vittorio Gassman
"I soliti ignoti" di Mario Monicelli è uno di quei film che a mio avviso merita di entrare nel novero delle opere perfette. Gira tutto come deve girare, ogni cosa è al posto giusto, non c'è un tempo morto, le caratteristiche di ogni personaggio sono delineate in modo da equilibrarsi ottimamente a vicenda e poi c'è il ritmo, che non consente un attimo di tregua all'attenzione dello spettatore, che ride e riflette allo stesso tempo osservando le gesta tragicomiche di questi cinque aspiranti professionisti del crimine sullo sfondo di un paese che stava iniziando proprio in quel periodo a ubriacarsi di speranze. Dietro la loro impresa, dietro le loro scalcagnate esistenze, come non rinvenire il generale desiderio di riscatto delle classi più povere, l'aspirazione a raggiungere una condizione di benessere che sembrava piovere a grappoli ed essere per chiunque a portata di mano. Tradotta nelle borgate romane (in questo caso), questa sopraggiunta aspirazione trovava il suo sbocco più naturale non tanto e non solo nella ricerca di un lavoro (non sia mai), quanto piuttosto nel sotterfugio, nell'imbroglio, nel crimine a bassa intensità, aspettando l'occasione propizia sotto forma di un bottino da prelevare. Si perchè i nostri "eroi" saranno stati anche caricati un pò troppo di folclore per esigenze di spettacolo, ma rispecchiavano appieno la secolare tendenza ad arrangiarsi con il materiale e i modi messi a disposizione dal milieu d'appartenenza. Da perfette maschere della sempiterna commedia dell'arte. Del resto è stata una caratteristica fondativa e peculiare della cosiddetta "commedia all'italiana" quella di smascherare i vizi e le ipocrisie del nostro paese attraverso la rappresentazione ilare dei suoi tipi d'autore, di calcare la mano sui luoghi comuni per farne emergere quanto in essi c'è sempre stato di vero. Ho sempre pensato a questa poetica come a un cinema dal forte impegno civile che ha ammantato di sana e proficua ironia l'acuta analisi sociologica dell'Italia durante gli anni "luminosi" del boom economico. La "commedia" è stato il mezzo attraverso cui si è giunti al fine di offrire un quadro esauriente del paese in un periodo in cui era percorso da importanti e fondamentali cambiamenti socio culturali. Ha accompagnato il suo cammino lungo il crinale della storia facendoci riflettere sulle sue endemiche carenze strutturali, ridere per la spontanea genuinità del suo popolo e amareggiare per come il diritto viene troppo spesso scambiato per piacere e l'onestà per debolezza. In quel cinema c'è il carattere di una nazione, i germi di ciò che è oggi l'Italia, nel bene e nel male. Lo studio serio del paese in "salsa grottesca" dunque, un espediente felicissimo che è servito ad avvicinare i gusti più disparati, le aspettative autoriali dei cinefili incalliti alle esigenze meno pretenziose di un pubblico più vasto. Ha reso "popolare" la grande arte cinematografica e di questa irripetibile stagione, "I soliti ignoti" è stato una pietra angolare e Mario Monicelli un maestro d'eccezione.
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Per me è l'analisi "definitiva" su questo capolavoro presente nella sezione "Opinioni", da abbinare rigorosamente alle sagaci omologie con il Sorpasso precedentemente annotate da Jonas. Mi auguro finisca da qualche parte su CR, se ho ben compreso le nuove impostazioni adottate in funzione di una maggiore rintracciabilità (anche se l'automatismo e i criteri di selezione mi suscitano delle perplessità). Un saluto.
E non dimentichiamo che di mamma ce n'è una sola, come sentenzia Ferribotte.
Voglio ricordare la giovane ma già bravissima Carla Gravina nella parte della "serveta" (come la chiamano nel film)...e la voce di Monica Vitti che doppia la fidanzata di Cosimo. Bellissima opinione, "I soliti ignoti" è il film di Monicelli che preserisco. Ciau Peppe.
Vorrei riportare un piccolo scambio di battute che mi fa sempre scoppiare dal ridere ogni volta che lo sento e che nella sua banale naturalezza dipinge un milieu urbano più di mille parole. Siamo all'inizio del film, quando Capannelle è alla ricerca di Mario. Si avvicina a un gruppo di ragazzini che stanno giocando a pallone e chiede, "conoscete un certo Mario ?" "Mario chi, qui ci stanno più di cento Mario", fa uno dei ragazzini, "ma quello che cerco io fa il ladro", ribadisce Capannelle, "sempre più di cento sono", sentenzia infine il ragazzo. C'è tutto un mondo in questo semplice e innocuo scambio di battute. Per ribadire la perfezione di un film come "I soliti ignoti". Naturalmente ringrazio tutti per gli interventi, soprattutto Inside man se mi è permeso, che ormai mi vuole un sacco di bene.
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