Regia di David Lean vedi scheda film
Nel bar di una stazione un uomo e una donna prendono il tè, ma arriva una conoscente di lei a interrompere inopportunamente la loro conversazione. Il senso del film è tutto nella prima scena (che poi verrà raccontata di nuovo, da un punto di vista non più neutrale, rivelando quello che c’era dietro): un melodramma vibrante ma come rattrappitto, che gli ordinari impicci della vita quotidiana si incaricano di soffocare. La vicenda viene esposta in una lunga confessione che nessuno ascolterà mai: due onesti borghesi si conoscono per caso nella cittadina che entrambi frequentano (lui per lavoro, lei per fare compere), si vedono per qualche giovedì (forse non casualmente, lo stesso giorno in cui Emma Bovary consumava i suoi adulteri), si scoprono innamorati e, per la prima volta nella loro vita, si ritrovano a non poter agire alla luce del sole. Dapprima lei cerca di illudersi di non aver nulla da nascondere al marito (forse un po’ distratto, ma non cattivo); ma poi, quando viene fuori la necessità di ricorrere a menzogne e sotterfugi, i due provano la vergogna di sentirsi sporchi pur non avendo fatto niente. E alla fine, sorpresa: quel marito così bonario e distratto forse ha intuito qualcosa, e trova le parole giuste da dire. Una curiosità: Billy Wilder, che utilizzò la stessa musica di Rachmaninov in Quando la moglie è in vacanza con intenti parodici, dichiarò anche di aver avuto l’idea di L’appartamento guardando la scena in cui i due si incontrano a casa di un amico di lui e trovando che quest’ultimo personaggio poteva diventare il più interessante dei tre.
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