Regia di Roman Polanski vedi scheda film
“Ah, good, good! Next: garlic! Plenty of garlic everywhere! And some crucifixes. I’ll lend you some. […] Is everything clear? Well, let me repeat: the garlic, window blocked, crucifixer here, there, there…”
Profonda Transilvania, nottata di pieno e rigido inverno: il professor Abronsius (Jack MacGowran), balzano ed appassionato (ri)cercatore di vampiri in lungo e in largo per l’Europa centrale, trova finalmente riparo dalle intemperie, ormai pressoché ibernato al pari del suo giovane e pauroso assistente Alfred (Roman Polanski); ad offrir loro tepore e ristoro è la locanda di Yoyneh Shagal (Alfie Bass), uno zotico che - pur esponendo aglio ovunque - nega l’esistenza nei paraggi di castelli e vampiri.
Fatto sta che l’avvenente figlia di Shagal, Sarah (Sharon Tate), viene subito morsa e rapita durante un bagno da Sua Eccellenza Conte von Krolock (Ferdy Mayne), sulle cui tracce si mette immediatamente il professore di Königsberg. Con lui ovviamente Alfred, che ha assistito terrificato all’intera scena ed è mosso soprattutto dall’innamoramento fulmineo per la figlia dell’oste.
I due, dopo qualche peripezia, giungono al castello di von Krolock; questi dimostra di conoscere di fama i lavori del professor Abronsius ed offre loro ospitalità per la notte, in compagnia di suo figlio Herbert (Iain Quarrier), vampiro omosessuale, e del servo gobbo Koukol (Terry Downes). Abronsius e Alfred cercano di approfittare della circostanza: i loro rispettivi intenti sono sorprendere i vampiri nella cripta con un paletto di frassino nel cuore e liberare Sarah…
“Parody was never my intention. I wanted to make a fairytale, something that’s frightening as well as fun, but also an adventure story.” [Roman Polanski]
Ci sarebbe parecchio da scrivere sul primo lungometraggio a colori di Roman Polanski, a cominciare dalle difficoltà produttive incontrate: innanzitutto è stato girato prevalentemente sulla neve delle Dolomiti, ad Ortisei, una soluzione emergenziale e di ripiego rispetto alla pianificata Austria. Nato come “Dance of the Vampires”, è stato poi stravolto dal produttore esecutivo Martin Ransohoff per il mercato americano, dove è uscito nel novembre 1967 come “The Fearless Vampire Killers, or: Pardon Me, But Your Teeth Are in My Neck”, tagliato di 20 minuti, doppiato e deturpato dall’inserimento di un prologo animato; fu sostanzialmente un fiasco, da cui Polanski si dissociò del tutto, imbestialito col produttore. La versione oggi più conosciuta e diffusa in DVD nel 2005, fortunatamente, è quella originaria. Sul titolo italiano preferisco sorvolare, richiamando esso la componente farsesca che Ransohoff si premurò di accentuare.
Al contrario di quanto generalmente ritenuto, non si tratta di una parodia del genere gotico-vampiresco di cui la Hammer si era fatta portavoce con decine di titoli: Polanski mette in scena una storiella romantica in cui gli stilemi di un certo horror (ambientazione gotica, aglio, riflessi mancati allo specchio, paletti di frassino, il colto e austero personaggio del Conte von Krolock) si fondono con le dinamiche tipiche della commedia, con tanto di brevi scenette slapstick musicate e in leggero fast forward. Ne risulta un film a tratti davvero esilarante, leggero, di puro intrattenimento, che diverte non tanto con i dialoghi quanto piuttosto con gag “fisiche”, grottesche, fondate sugli stereotipi e sui loro rovesciamenti. Se il precedente “Cul-de-Sac” - film più elaborato, ambizioso e dichiaratamente ispirato al teatro grottesco di Beckett e Pinter - pativa spunti comici e schermaglie sessuali sovrapposti in maniera assai macchinosa alla traccia thriller principale, in “Dance of the Vampires” Polanski miscela i registri con gran sapienza, concedendosi persino un ritratto simpatico - per quanto macchiettistico - del folklore ebraico dell’Est Europa.
Le musiche dello sfortunato pianista jazz Krzysztof Komeda, vivaci ed incalzanti, si adattano perfettamente al tono generale del film. Sulla stessa falsariga, ondeggia fra brio, stravaganza e terrore la strana coppia di protagonisti formata da un pimpante Jack MacGowran e lo stesso Polanski (nemmeno accreditato come attore nei titoli di testa), saldamente tratteggiata in ogni duetto. Nota di colore: proprio sul set di “Dance of the Vampires” si sono conosciuti Roman Polanski e Sharon Tate, bellissima ed inesperta attrice scritturata a sorpresa; il regista, infatti, voleva la redhead Jill St. John nei panni di Sarah, ma si lasciò convincere da Ransohoff a dare la parte alla Tate, a patto che indossasse una parrucca rossa. Come noto, nel giro di pochissimo tempo divenne la compagna del regista, fino alla sua tragica e tristemente celebre fine al 10050 di Cielo Drive, appena due anni dopo (e precisamente 50 anni fa).
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