Regia di Alberto Lattuada vedi scheda film
A dispetto del suo anagrafico invecchiamento e di un finale strappalacrime “fuori tempo massimo”, il primo importante film di Alberto Lattuada può vantare non poche carte vincenti. A metà strada tra “noir” americano (o francese “alla Jean Gabin”) e il miglior neorealismo italiano di quegli anni, tiene viva l’attenzione dello spettatore grazie ad una sceneggiatura ben articolata (i colpi di scena non mancano), una scenografia da sogno (materiale per un documentario di alto livello), un bianco e nero di tutto rispetto e una felice scelta di attori. Amedeo Nazzari sfodera tutte le sue capacità e tutti i suoi limiti: può apparire troppo ieratico nella gestualità e nell’eloquio, ma possiede una presenza scenica che conosce pochi rivali. Buca lo schermo, come si suol dire. Altrettanto possente la prestazione di Anna Magnani, qui in un ruolo che non ha alcunché di romanesco, un ruolo drammatico e “negativo”, che interpreta con classe sopraffina. Carlo Campanini interpreta il suo solito ma perfetto personaggio di uomo umile, onesto e abitato solo da buoni sentimenti, capace comunque di farti versare una superficiale lacrimuccia alla fine del film. Prezioso secondo ruolo di Folco Lulli, eccezionale attore molto dimenticato, che si ritroverà l’anno successivo nel bellissimo “Il delitto di Giovanni Episcopo” e che ha lasciato il segno con la sua partecipazione a “La Grande Guerra” di Mario Monicelli (1959). Comincio a pensare che Alberto Lattuada abbia realizzato i suoi migliori film nei primi anni di carriera.
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