Regia di William Wyler vedi scheda film
Probabilmente il capolavoro di William Wyler, regista di punta della Hollywood fra gli anni Trenta e i Cinquanta, opera che fu tra le prime ad affrontare il delicato tema dei reinserimento nella vita sociale e lavorativa dei reduci della Seconda Guerra Mondiale. Accolto da un vero trionfo commerciale e critico, con incassi altissimi e recensioni entusiastiche, nonché da una pioggia di Oscar fra cui Miglior film e miglior regista (il secondo per Wyler), il film scaturì da un’idea iniziale del produttore Samuel Goldwyn, che lesse un articolo sul tema dei reduci, poi trasformato in un romanzo in versi dello scrittore MacKinlay Kantor dal titolo “Glory for me” su cui fu basata la sceneggiatura di Robert Sherwood filmata da Wyler. L’approccio del regista è sostanzialmente onesto verso i suoi personaggi, tutti disegnati con affetto e con partecipe sobrietà, e riesce a padroneggiare con efficacia la struttura corale; la ricerca di un realismo più dimesso rispetto alle consuetudini del cinema americano va ugualmente a segno, grazie anche allo straordinario apporto della fotografia di Gregg Toland che utilizza magistralmente la profondità di campo con uno stile “sintetico” che fu elogiato fra gli altri dal critico francese André Bazin. Fra le varie vicende del film, quella di maggiore impatto mi sembra quella di Fred (Dana Andrews) che è tormentato dai ricordi della guerra e si innamora della figlia di Al, Peggy (Teresa Wright); peccato solo che il personaggio della moglie di Fred interpretata da Virginia Mayo sia caratterizzato in maniera troppo negativa, con uno schematismo che appesantisce un po’ l’aspetto più romantico della trama fra Fred e Peggy. Intense e ricche di sfumature le caratterizzazioni di Al (Fredric March), della moglie Milly (Myrna Loy) e del reduce Homer Parish interpretato dal vero veterano di guerra Harold Russell, rimasto tragicamente privo delle mani a causa di un incidente, che per la sua interpretazione vinse un Oscar come miglior attore non protagonista e un altro Oscar speciale. E nel vederlo ho riscoperto la bravura di Dana Andrews, attore molto sottovalutato ma qui davvero credibile nel restituire l’angoscia e lo smarrimento di Fred, nonché una Teresa Wright sensibile e luminosa in ogni fotogramma, una presenza insostituibile nelle migliori opere del regista. La vittoria agli Oscar in questo caso direi che fu meritata, considerato anche il fatto che il film col passare degli anni è diventato un vero classico del cinema americano, anche se personalmente avrei comunque preferito "La vita è meravigliosa" di Frank Capra. Scandaloso, in ogni caso, il mancato riconoscimento alla fotografia di Greg Toland, qui al vertice delle proprie ricerche espressive.
Voto 10/10
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