Regia di Blake Edwards vedi scheda film
Comincia come una commedia sentimentale: lui e lei si incontrano, si piacciono e si sposano; c’è appena un retrogusto amarognolo, perché Lemmon sembra quello di L’appartamento, un impiegato untuoso e servile che si salva grazie all’amore. Il dramma cresce lentamente, tanto lentamente che i personaggi se ne accorgono anche prima degli spettatori, incapaci di collegare elementi apparentemente insignificanti sparsi qua e là: è una discesa agli inferi, dalla rispettabilità borghese alla totale abiezione, che sembra non avere mai fine. Poi il film sembra virare verso una storia di redenzione, ma qui comincia un nuovo dramma: quello di una coppia che si sfascia perché solo uno dei due riesce a liberarsi dal vizio, mentre l’altro no. E un maestro della commedia come Edwards ha il coraggio di un finale dolente e disperato, come non aveva osato nemmeno il Wilder di Giorni perduti (ma si era nel 1945, altri tempi): l’ultima scena, con Lee Remick che si allontana nella notte senza voltarsi, mentre lampeggia l’insegna di un bar, è fra le conclusioni più tristi di cui abbia memoria.
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