Regia di Sydney Pollack vedi scheda film
"La vita è una maratona" recita la prima trasposizione cinematografica del libro di Horace McCoy da cui è tratto il film. E l'assunto è tutto qui. All'epoca della Grande Depressione (la Crisi dei giorni nostri ci lega tristemente in qualche modo a quel periodo tragico) le difficoltà economiche della gente, e in alcuni casi la fame, permettono a impresari senza scrupoli di organizzare "spettacoli" pubblici in cui coppie di disperati si sfidano in gare di resistenza di ballo, fino allo sfinimento fisico e mentale, pur di vincere un fantomatico premio in denaro. Vince chi resta in pista dopo giorni e giorni di patetiche sofferenze, sotto gli occhi spietati dei più benestanti che, dalle gradinate, incitano i loro favoriti, alla stregua di cavalli all'ippodromo, scommettendo su chi resterà in piedi e chi crollerà per primo. I richiami involontari ai reality televisivi d'oggi ci sono tutti riguardando il film a distanza di molti anni dalla prima volta (l'ho visto in tv negli anni '80, il film è uscito nelle sale nel 1969). Jane Fonda, sempre all'altezza, si dimostra ottima attrice, dando forma al personaggio di Gloria, donna sconfitta dall'esistenza, disillusa, disperata, temprata all'inverosimile dalla sfortuna (Miss Sfortuna viene chiamata a un certo punto dal cinico Rocky, affabulatore, imbroglione, approfittatore dell'altrui disgrazie, diabolico gran burattinaio: Oscar a Gig Young). Robert è un uomo in prestito, sballottato dal caso, tirato dentro meccanismi che non gli appartengono, passivo, svagato, sfigato, eppur solidale, umanissimo. Un campionario deprimente di figure di contorno - l'aitante marinaio fuori tempo massimo, la starlett che ha perso il lume della ragione, la coppia di vagabondi di cui lei è incinta - imprime alla storia un'aura di terribile sventura comune. Ad approfittarne, fuori dal recinto, il Sistema capitalizzante, le cui redini sono rette dai potenti di turno, e a cui l'uomo comune, da sempre avvezzo a veder scorrere sotto gli occhi le peggio cose, cede il passo, lasciandosi cadere nella più infima delle colpe: l'abitudine. 6 anni più tardi arriverà Rollerball, che agli occhi di chi scrive rappresenta per molti versi l'epigono di questo Non Si Uccidono Così Anche I Cavalli?.
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