Regia di Luigi Zampa vedi scheda film
Il confine tra Italia e Jugoslavia, tracciato da capi di stato incuranti della povera gente, diventa un dramma per un paesino tagliato a metà.
E' una una pellicola di ambientazione e argomento insoliti: cioè un villaggio a cavallo del confine italo-jugoslavo nei pressi di Trieste nell'immediato dopoguerra, quando appunto il confine fu tracciato con la squadra, o l'accetta che dir si voglia. Il film racconta del dramma di un paesino che fu diviso a metà dal nuovo confine, e vide la propria gente divisa in due modi: fisicamente e, almeno sulle prime, anche dalla discordia e dalla rivalità che nacque tra persone che prima convivevano senza problemi. Almeno nei primi tempi, quel confine non fu molto dissimile dal muro di Berlino, mitragliate ai fuggiaschi comprese. Poi per fortuna gli animi si ammorbidirono, specie dopo la rottura tra Tito e Stalin.
Almeno nelle intenzioni, anche commerciali, questo film del giovane Luigi Zampa vorrebbe raccontare una storia di amanti divisi dal confine e dalle ideologie, ma è presto chiaro che questa vicenda viene messa da parte dagli avvenimenti che vedono protagonisti i bambini del paese. Il loro dramma, e secondariamente quello degli amanti, viene presentato come paradigma della sofferenza di un'intera popolazione, che in quegli anni subì sventure assortite: dall'occupazione tedesca con l'unico campo di concentramento in Italia, alla successiva tragedia delle foibe ad opera dell'esercito di Tito, e quindi con quel confine tracciato da personaggi a cui poco importava di quel paesino tagliato esattamente a metà. In generale, la pellicola (sceneggiata dal cattolico Piero Tellini) spezza una lancia a favore della convivenza pacifica di due popoli fratelli, che le ideologie hanno diviso. I comunisti vengono presentati in modo negativo, ma pure i nostalgici fascisti. In particolare, si punta il dito sui seminatori di discordia di entrambi i fronti, che tentarono di spargere odio tra coloro che rimasero in Jugoslavia e gli altri in Italia. Il confine stesso, con la sua sola presenza, sembra aizzare le popolazioni l'una contro l'altra.
Complessivamente è un film discreto, a tratti un po' semplicistico, ma pure sentito e convinto di quello che vuole dire. Si possono perdonare certe ingenuità, come i bambini del Carso che portano nomi meridionali (Pasqualino, Gaspare, ecc.); va anche detto che Zampa non è un regista adatto ai drammi o al neorealismo, e la sua carriera successiva lo avrebbe confermato.
Enzo Stajola, ex-ladro di biciclette, presto ruba la scena ai due amanti e finisce per diventare il protagonista. Raf Vallone, col suo sguardo torbido e il volto legnoso, è bravo, ma il suo personaggio è relegato allo sfondo.
In complesso è da vedere, anche come testimonianza storica.
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