Regia di Cy Endfield vedi scheda film
Detesto i film di guerra tradizionali: combattimenti, eroismo virile, e altre sciocchezze stantie (anzi, marce). "Zulu" non lo è. Innanzitutto, gli "eroi": un gruppo alquanto male assortito di guide sudafricane, soldati gallesi e ufficiali perlopiù inglesi, appartenenti al Genio, che si trovano a fronteggiare migliaia di guerrieri zulu, reduci dal trionfo di Isandlwana (1879) contro le truppe coloniali. A comandarli, due ufficiali (i bravissimi Stanley Baker e Michael Caine) che battibeccano con una certa meschinità: il primo è un rozzo ingegnere, l'altro uno spocchiosissimo inglese di nobile schiatta guerriera. Non vanno dimenticati poi altri spiacevoli individui quali un farabutto incredibile soprannominato "Hookie" (James Booth), spedito a forza nell'esercito, un missionario svedese che si ubriaca dal terrore (Jack Hawkins, nientemeno) e la sua bigottissima figlia (Ulla Jacobson!), che viene maltrattata senza misericordia dai soldati. Per riguardo allo spirito di corpo, un drappello di cavalieri rifiuta di dare il proprio aiuto e se la batte allegramente. Le reclute zulu collaborazioniste, istigate dal missionario, si danno a loro volta alla fuga: l'uomo e la figlia vengono prima imprigionati e poi cacciati. La battaglia contro i "nemici" può cominciare: gli zulu, tutt'altro che un branco di stereotipati "selvaggi" di celluloide, danno prova di grandissima abilità strategica, il contingente britannico si difende come può (e bene), i combattimenti si alternano a pause snervanti. Lo sfinimento, la paura, la disperazione montano, a mano a mano che gli attacchi si susseguono. Decimati, i bianchi si trovano rinchiusi nell'ultima ridotta. Gli zulu intonano un canto di morte, annunciando l'estremo assalto. L'ingegnere chiede al capo del coro militare (essendo gallesi, un coro c'è sempre, come dice un personaggio) se sono bravi (eccome). L'esausto cantante (che lo era davvero: Ivor Emmanuel, che recita benissimo) loda i loro bassi ma nota che non hanno dei gran tenori. Dopo di che, attacca "Men of Harlech", l'inno gallese (col testo inglese). E si badi, senza nessun tono trionfalistico o retorico. I soldati lo seguono a fatica. In questa scena sta una delle chiavi del film: il rifiuto della fanfara dell'onore militare dell'Impero, la battaglia si combatte per la propria vita, un poco per la propria dignità e accettando più o meno serenamente la possibilità di morire (in questo senso, il luogo prescelto, uno stupendo anfiteatro naturale nello Kwazulu-Natal, di bellezza e di quiete trascendentali, crea un contrasto magnifico con l'azione disumana che vi si svolge e suggerisce quasi l'idea di cui sopra, l'accettazione dell'inevitabile).
Il combattimento riprende, più feroce di prima. Lo sbarramento di fuoco delle tre file di fucili fa sì che si riescano a respingere gli zulu; ma quando la sparatoria cessa, tre file di uomini guardano in silenzio, con la paura e il disgusto dipinti in viso, la montagna di morti davanti a loro, in un'immagine perfetta di orrore. Il dialogo successivo tra i due ufficiali, a questo proposito, è un altro momento fondamentale. Bromhead (Caine) chiede a Chard (Baker) se è così che ci si sente dopo il primo combattimento. "Come?" chiede l'altro. "Sick", risponde Bromhead, che si può tradurre "male" ma, ancora meglio, "nauseati". E, aggiunge, "ashamed", "pieni di vergogna". Dopo che Chard ha risposto che non gli sarebbe stato possibile sopportare un simile macello per più di una volta (ergo, non ha mai comandato un'azione), i guerrieri zulu riappaiono sulla montagna, più numerosi che mai. Bromhead è isterico, Chard impietrito, i canti ricominciano, su un'altra melodia. La guida spiega ridendo follemente a Bromhead che è un canto di saluto e di omaggio a un nemico coraggioso, che merita di essere risparmiato. Gli zulu si ritirano, e l'ultimo a lasciare le colline è il guerriero che era stato il primo a entrare nel campo di Isandhlwana. Il sergente fa l'appello dei morti, la voce fuori campo (di Richard Burton) che ha introdotto la vicenda la chiude, elencando le "Victoria Crosses", le medaglie al valore conferite per la vittoria e tra esse chi c'è? Hookie, che ha combattuto solo ed esclusivamente quando la sua pellaccia era in immediato pericolo e per il gusto di ammazzare.
Tornando alle peculiarità di "Zulu", e detto l'ovvio, cioè che è pur sempre, come quasi tutti i film del genere, intrinsecamente ambiguo, bisognerebbe aggiungere che è un'opera molto della sua epoca, nel suo modo di vedere la guerra e nel rifiuto di mostrare le azioni più orripilanti, che pure sono successe. Tutte le parti dialogate sono di bianchi (il regista di seconda unità Robert Porter, ha attribuito questa scelta al fatto che il film batteva bandiera statunitense, e che il pubblico americano non avrebbe letto volentieri sottotitoli), alcune battute semi-pacifiste suonano leggermente gratuite considerati i tempi (il boero che risponde male al commento razzista di Bromhead sugli ascari zulu), ma nel complesso non c'è nulla di offensivo o di volgarmente retorico. L'understatement è la cifra di questo film. Restano da aggiungere la limpidissima bellezza della fotografia (e purtroppo per me, il film è stato girato in 70 mm, altro che schermo tv!) e la magnifica musica di John Barry (vedi sotto). Una piacevole sorpresa.
Splendida sotto tutti gli aspetti e ispirata al repertorio zulu, che John Barry ha studiato accuratamente. La musica che accompagna i titoli di testa è da imparare a memoria :) E i canti zulu dei guerrieri sono fantastici.
Un personaggio ingrato, fatto molto bene. Bellissima la sua espressione davanti al ritiro degli zulu.
Il ruolo che lo ha reso (giustamente) famoso. Molto raffinato.
Esilarante e disgustoso!! Un personaggio che capita una volta nella vita :))
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