Regia di Pasquale Festa Campanile vedi scheda film
La Grande Guerra non è solo quella di Sordi e Gassman, ma anche quella di Pozzetto e Maccione. Diretti da Pasquale Festa Campanile i due sono il cane e il gatto, o meglio il gatto e il topo di questa dolceamara commedia bellica dai contorni onirici che s’infrangono qua e là quando la realtà della guerra non si può più aggirare con la fuga fantastica. L’incipit ci da subito le misure con cui interpretare la pellicola. Piccoli palchi provinciali dell’avanspettacolo povero ma dignitoso dei guitti del primo Novecento. Una poesia amara nella vita fittizia, escogitata, inventata ad hoc da chi ha il potere di ricrearla anche senza governarla. Il Primo Baffo di Pozzetto è il Pozzetto del panorama “bellico” del cinema di casa nostra, dove trionfano i signori attori e registi d’impegno neorealista, mentre perdono le alterità, i dissidenti della regola accademica, condannati al limbo dello scarso consenso critico. Ma il pícaro Pozzetto ce la fa. Si muove in paesaggi di guerra, dove regna una fotografia livida, da sera autunnale, piena di nebbia e foschia, il freddo dell’inverno e delle piccole cose che periscono fino a scomparire. Solo il caldo fuoco del gioco, del saltimbanco sognatore possono cambiare il percorso già deciso dai generali. La guerra combattuta è fin trovo vera per essere accettata dal sognatore che s’accorge della realtà solo quando ha fame, sete, sonno o voglia di una donna. I bisogni elementari restano quindi l’unica verità possibile, e di riflesso assumono il ruolo di unici strumenti per accedere e conoscere la verità. E la verità di un campo di battaglia è che si è fin troppo stupidi per non accorgersi che è proprio quando la gente muore che bisogna fermarsi e capire e ipotizzare l’esatto contrario. Così, impregnando il film di verità elementari come i tanti nudi sia maschili che femminili, come il linguaggio primitivo delle primitive necessità, come i bordelli e gli ospedali (piacere e dolore), come le mucche e le polente per sfamarsi, le case dove fermarsi la notte, magari con un’amica sotto la coperta, così con tutti questi operatori di primitività - anche gratuita ma tale è la verità ontologica della reatà - il film colpisce per la sua semplicità farsesca a cui corrisponde la complessità delle sfumature e dei messaggi lirici. Un film che quindi, oltre all’incontenibile Pozzetto, attraversa la riflessione postbellica con una leggerezza additabile solo in prima lettura, che serve solo a veicolare con facilità la profondità innegabile dell’autorialità del comico, del guitto, del saltinbanco scapigliato che può combattere i generali, gli armatori e gli eserciti tutti facendosene beffe, seppur assaggiando l’amarezza della realtà dalla cui fugge regolarmente.
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