Regia di Luigi Filippo D'Amico vedi scheda film
Un film istruttivo, che scorre piacevole. Istruisce sull’orrore di tanti adulti, che possono fare di tutto, anche le cose più meschine, pur di raggiungere nient’altro che il proprio tornaconto economico, sfruttando da parassiti le situazioni e le persone.
Si denuncia anche l’arrivismo da provincia: magistrale la scena in cui Sordi passa in pompa magna nel suo quartiere, che cerca di ingannare mostrando di essere appunto “arrivato” al successo economico. Penoso lui, ma non meno penoso è chi lo guarda dal balcone, e le donne che lo rivalutano per questo, dopo averlo ridicolizzato.
Istruttiva la pellicola è anche quando mostra il contraltare del penoso opportunismo citato, ovvero la vittima. Che qui è la più indifesa,e quella su cui maggiormente pesano questi difetti: il bambino. La sceneggiatura di Age e Scarpelli mostra infatti bene questo eterno problema: i bambini che spesso vengono sfruttati per l’ambizione di chi se ne occupa, il quale proietta i suoi bisogni sul minore, finendo per farlo soffocare. L’assenza di sensibilità educativa, questa ignoranza delle aspettative più importanti della natura umana: queste gravi tare psicologiche e pedagogiche, di adulti cresciuti non sufficientemente bene, si riversano così sui bambini, le cui qualità si convertono per assurdo in nemiche della propria felicità, anziché essere quello che dovrebbero, ovvero talenti non meritati che comunque danno maggior opportunità per vivere meglio, in un contesto generale di vita incerto, e mai facile per nessuno. Qui si vede bene l’aspetto tragico dell’educazione capitalista, quella che sottilmente va per la maggiore (e che guarda caso esalta i “bambini prodigio”, menzogna che va bene con la televisione e soprattutto nei periodi di boom economico, come gli anni ’50 e ‘80, ad esempio): gli esseri umani devono dare profitti, nelle mani di chi li comanda; ma non devono essere liberi e pensanti, perché altrimenti si ribellerebbero, dato che li si costringe contro la propria volontà e la propria felicità. Efficienza che serve solo a chi se ne approfitta, e che fatalmente porta tristezza in tutti, in particolare in chi è il primo ad essere sottomesso a questa logica, coercitiva ed ossessiva, della prestazione, e senza possibilità serene per uscirne. Il bambino non ce la fa più e scappa di casa: non se ne fa nulla di un mondo in cui forse la ricchezza se la gusterà in un domani lontano, ma al momento non può che essere triste, per il fatto di essere usato per le ambizioni scorrette di altri. E’ bambino, ma non riesce a non capire le emozioni, e la bontà e la cattiveria che queste indicano, pur senza parole chiare e necessità di studi approfonditi.
Il film poi non è facilone: Sordi si affeziona al bambino, rimangiandosi di fatto tutto quanto ha fatto prima. È chiaro l’impasto dell’ambiguità, tra l’individualismo avido ed amorale, da una parte, e le esigenze dell’affetto e della felicità autentica che, dall’altra parte, non si possono mettere a tacere del tutto.
Si ride ogni tanto, non ci si annoia mai, e Sordi come sempre fa da Atlante per reggere alle sue spalle dei contenuti che possano essere significavi. Lo fa passando attraverso presentazioni che possono sembrare semplici, ma che sono profonde, e soprattutto vive, autentiche. Quest’opera, senza particolari ambizioni, ne ricorda a suo modo, senza eccessivamente sfigurare, altre ben più note, come “Il monello” di Chaplin, o “Bellissima” con la Magnani di 4 anni prima, o il successivo “L’incompreso” di Monicelli. E ricorda soprattutto in modo chiaro un’esigenza fondamentale dei bambini, e non solo: quella di giocare, e godersi la vita.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta