Regia di Wolfgang Petersen vedi scheda film
U-Boot 96 è un film importante nella cinematografia tedesca, a suo modo un film simbolo e soprattutto un film di svolta. Ed è importante anche l'anno della sua uscita, il 1980, che segna il passaggio del cinema tedesco da una prevalenza autoriale, di film di significativa critica sociale, realizzati da Autori spesso poco attenti ai gusti del pubblico e rivolti specialmente ad un pubblico qualificato, realizzati, molto frequentemente, con pochi mezzi finanziari e tante idee. Basti pensare al cinema di quella schiera di autori che si troveranno coinvolti nel progetto di Germania in autunno (1978): solo per fare qualche nome, Fassbinder, Schlöndorff, Kluge, Fleischmann. Nel 1980 la casa di produzione Bavaria finanzia, con grandi mezzi economici, questo kolossal bellico di Wolfgang Petersen e il cinema tedesco non è più lo stesso. In quel 1980, Fassbinder, probabilmente l'Autore per eccellenza del decennio dei Settanta (ma anche un artista forse più conosciuto ed amato dopo la sua morte che non in vita), si avvia alla conclusione della sua frenetica attività di regista, mentre Schlöndorff gira un bellissimo film - Il tamburo di latta, tratto da una delle opere letterarie più importanti del dopoguerra tedesco - mille miglia lontano dalle pellicole ruvide del quindicennio precedente. Tullio Kezich, che nella sostanza stronca il film di Petersen, intuisce in diretta questo cambiamento e lo "denuncia", forse con una punta d'invidia per lo stato del cinema italiano: «Non pago dell'affermazione dei suoi registi d'élite, il cinema tedesco cerca di uscire dal ghetto del film d'essai per imporsi internazionalmente nel settore dello spettacolo popolare. La Bavaria punta grosso su questo film da 10 miliardi...» (recensione del 1980). Alla svolta degli anni Ottanta, il cinema delle Germania Occidentale cambia segno: il punto di non ritorno è la morte di Fassbinder, ma l'inizio del decennio coincide con una totale diaspora degli Autori nati con il Manifesto di Oberhausen. Nel 1984 risorgerà Edgar Reitz con Heimat e continuerà a produrre qualche film engagé Margarethe von Trotta, ma il cinema tedesco si orienterà sul prodotto da esportazione, con film quali La storia infinita (1984) e Momo (1986).
U-Boot 96, nella versione director's cut di tre ore e un quarto voluta da Petersen, aumenta il senso di sfinimento e di claustrofobia che è tipico dei film ambientati sui sommergibili. Siamo soltanto nel 1941 - gli USA ancora non sono entrati in guerra - ma l'avventura del sottomarino del comandante Lehmann sembra già una metafora del destino bellico della Germania nazista. I marinai, infatti, sembrano (peraltro, tranne un giovane guardamarina, tutti fin troppo denazificati) già rassegnati a non vedere la fine della guerra. In ogni caso, non si può negare al primo kolossal europeo di Petersen l'efficacia della ricostruzione della vita sommergibilistica, un senso dello spettacolo già spiccato (senza concessioni allo happy ending) e una resa figurativa di tutto rispetto.
Tutti funzionali gli interpreti principali. Tra i minori, si vede Günter Lamprecht (che nello stesso 1980 fu Franz Biberkopf per il Berlin Alexanderplatz di Fassbinder), nella parte del capitano della nave Weser, personaggio che dimostra ai sommergibilisti che chi sta sopra la superficie dell'acqua non ha la minima idea di cosa significhi combattere in una scatoletta d'acciaio, in balia di tante variabili, ed in sostanza nelle mani di Dio.
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