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L'inferno

Regia di Claude Chabrol vedi scheda film

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La recensione su L'inferno

di Peppe Comune
8 stelle

Paul (Francois Cluzet) rileva un vecchio albergo in una località situata sulla riva di un lago vicino ai Pirenei. Lo rimette a nuovo facendolo diventare una specie di paradiso in terra per gli affezionati clienti. Sembra avere tutto ciò di cui si ha bisogno per essere felice, compresi una moglie bella e innamorata (Emmanuelle Bèart) e un figlio adorabile. Un giorno però, Paul scopre la moglie in compagnia di un amico a guardare delle diapositive in una stanza buia dell'albergo. Non stanno facendo nulla di male, ma da quel giorno l'equilibrio mentale di Paul si fa sempre più precario, ogni gesto di Nelly si trasforma ai suoi occhi come un indizio inconfutabile di tradimento. La crisi del loro idillio mette a repentaglio i buoni affari dell'albergo e l'ottima reputazione che da sempre si accompagnava alla casa.

 

 

 Va detto subito che Claude Chabrol riprende un discorso interrotto da Henry George Cluzot che nel 1964 non riuscì a portare a termine il film interpretato da Romy Shneider e Serge Reggiani a causa di seri problemi fisici. Poi va aggiunto che "L'inferno" è un film di fredda precisione analitica e di affascinante architettura stilistica, sapientemente giocato sul fascino provocante di una brava Emmanuelle Bèart e sulla sottile vena erotica che lo percorre. Come spesso accade con Chabrol, si riflette sulla natura "primordiale" di un sentimento per indagarne i potenziali effetti regressivi che è capace di produrre sull'uomo e sul suo ambiente. L'inferno "senza fine" a cui si fa riferimento a partire dal titolo è il demone della gelosia, quello che può trasformare l'amore nella sua esatta negazione, l'amico in nemico, il rispetto in possesso, quello che rende veramente labile il confine tra "normalità" e follia e che può portare a considerare ogni uomo come un potenziale nemico. Insomma, il film è tutt'altro che l'esposizione lineare di un amorevole pace familiare interrotta dalla possibile intromissione di un terzo incomodo, evenienza questa che, se non giustificherebbe la folle regressione emotiva di Paul, almeno ne qualificherebbe una genesi razionale. Perchè non esiste alcun amante palese, non si sa se Nelly ne abbia o meno avuto uno, e neanche interessa saperlo, perchè le probabilità che l'allegra disponibilità della donna, le sue genorose grazie, veicolassero la legittima maliziosità di un dubbio, non sono nulla rispetto alle certezze d'adulterio partorite dalla delirante gelosia di Paul. Ciò che interessa Chabrol è catturare, lungo tutto il suo percorso evolutivo, la smania di Paul di far corrispondere alle proprie ossessioni delle prove di tradimento che non esistono, dargli le fattezze di due corpi che godono al piacere di ingannarlo. Lo fa accrescendo gradualmente la sensazione di straniamento dell'uomo, che nel suo iniziare a confondere la vita reale con l'oggetto della sua delirante immaginazione, deforma la realtà in funzione di quello che viene pretestuosamente elaborato dalla sua fantasia malata. Ogni gesto di Nelly innesta un sospetto, ogni sua assenza dall'albergo, ogni ritardo, ogni parola scambiata con un cliente, diventa una prova della sua infedeltà, il pretesto per accendere la fervida immaginazione di Paul. Sogno è realtà iniziano a confondersi, la matrice sessuale del primo prende il sopravvento sulla natura familiare del secondo, i dubbi diventono certezze e la reciprocità di un rapporto di coppia lascia decisamente il passo all'arbitraria cecità di una passione. Nelly regredisce al rango di un oggetto su cui detenere l'esclusiva e la sua gioviale bellezza apre le porte all'insana possessività di un corpo. Il finale rimane volutamente aperto, sospeso tra realtà e fantasia, tra l'elaborazione mentale di un ossessionante gelosia e la triste conclusione di un amore criminale. Grande film.         

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