Regia di John Frankenheimer vedi scheda film
"Non sarai mica armato, spero. Per gli stranieri, anche se poliziotti, è illegale, lo sai?".
"No, niente armi, sono fedele al regolamento: hai letto il mio dossier, no?".
"Per questo te l'ho chiesto".
[Bernard Fresson e Gene Hackman]
A quattro anni di distanza dal capolavoro di Friedkin, tornano, affidate alla regia di John Frankenheimer, le gesta del detective Jimmy Popeye Doyle (Gene Hackman): si riparte da Marsiglia, dove il boss Alain Charnier (Fernando Rey) e riuscito a riparare scampando alla caccia di Doyle e dove lo stesso Doyle si trasferisce per proseguire le indagini e stanarlo. L'intesa e la collaborazione con Henri Barthélémy (Bernard Fresson), il suo collega della Squadra Narcotici locale, però, non è delle migliori:
"Sono venuto qui per beccare Charnier ed è quello che farò: lo beccherò e lo metterò dove si merita, con o senza di voi!".
"Ah, bene! Bravo! Oggi a Marsiglia sono sbarcati gli americani, avete sentito? Questo tuo Charnier, tanto per cominciare, certamente non si chiama così. Secondo, non esistono notizie di uno che corrisponda, nè qui, nè a Parigi, nè in nessun altro posto. Ma, in compenso, sappiamo tutto su di te".
"È stato più facile?".
"Posso ricordarti che sei stato tu a fartelo scappare?".
Doyle, però, è ignaro di essere utilizzato dai suoi superiori di New York come esca per attirare l'attenzione di Charnier e costringerlo a uscire allo scoperto: il boss, infatti, accortosi della presenza di Doyle in città, lo fa sequestrare per imbottirlo di eroina e trasformarlo in un tossicodipendente, salvo poi, appurato che non aveva in mano alcun indizio per smascherare i suoi traffici, decidere di rilasciarlo: ridotto in fin di vita, Doyle deve ora riuscire a disintossicarsi. Poi, sconfitte le crisi di astinenza, riprende la caccia...
Sequel solido e tesissimo di un classico del cinema poliziesco, Il braccio violento della legge n. 2 si rivela opera meno ambiziosa del precedente episodio ma di indubbia e straordinaria efficacia spettacolare: scritto da Robert e Laurie Dillon insieme a Alexander Jacobs (Senza un attimo di tregua e Duello nel Pacifico tra i suoi script), il film di Frankenheimer riesce a distinguersi per qualità della messinscena e coinvolgimento, esaltato dal taglio secco (come il finale che conclude il film) e stringato della narrazione, dal carisma del suo protagonista e dalle suggestioni visive offerte dell'ambientazione marsigliese. La città francese, infatti, non resta solamente sfondo decorativo per le evoluzioni della vicenda: la macchina da presa ne sfrutta mirabilmente la conformazione in verticale, cogliendone, incorniciati nella magnifica fotografia di Claude Renoir, non solo i panorami da cartolina o il fascino dei contrasti, ma lanciandosi all'inseguimento dei suoi personaggi nei saliscendi di strade, vicoli e scalinate e nel dedalo di viuzze dei suoi quartieri. La regia di Frankenheimer governa attentamente il crescendo di pathos e la tensione della vicenda, orchestrandone sapientemente gli snodi più cruciali su una brillante alternanza di momenti più ironici e leggeri (il pesce d'aprile iniziale alla polizia francese, l'ufficio di Doyle nella centrale di Marsiglia, la sua gag a colpi di "bicchierini" con il barista) e sequenze di travolgente impatto spettacolare: da Gene Hackman all'inseguimento del poliziotto infiltrato ("Che cosa ne sai di Marsiglia? Pensi che sia Harlem, dove per la strada prendi a calci i neri?") alla sua drammatica discesa agli inferi, rapito, drogato e trasformato in un tossico senza speranza, dalla sua rabbiosa irruzione nell'hotel alla sparatoria al porto, fino al pedinamento del corriere di Charnier lungo i viali del centro di Marsiglia e poi nel quartiere arabo, magistrale preludio alla resa dei conti finale. Colonna sonora, splendida, affidata nuovamente a Don Ellis e montaggio, impeccabile, curato da Tom Rolf.
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