Regia di John Sturges vedi scheda film
Uno degli ultimi grandi classici del cinema western americano prima dell’ìrruzione dei film di Sergio Leone, che chiuderanno definitivamente un’epoca. Un’epoca gloriosa, disseminata di capolavori immensi, ma il cui linguaggio, con il passare dei decenni, si era venuto esaurendo. Quel linguaggio, “I magnifici sette” lo rappresenta ancora degnamente, facendo ricorso a tutti gli elementi che lo strutturano: una storia di buoni contro cattivi, di giustizia da ristabilire, di forti solidarietà maschili nate sul campo; una vicenda inquadrata nei tradizionali paesaggi del confine messicano e interpretato da un cast stellare, accompagnata da una colonna sonora che tutta la mia generazione ha canticchiato. La discendenza da “I sette samurai” (1954) di Akira Kurosawa si può subito accantonare. John Sturges realizza un film western e basta. Grandi contenuti, simbologie e profonde riflessioni non sono previsti. L’intera costruzione mira ad essere lineare, immediata ed efficace, vuole divertire, stupire, appassionare... e ci riesce perfettamente.
Avendo accettato per un modestissimo compenso di difendere un piccolo villaggio di campesinos dalle angherie del famigerato bandito Calvera (Eli Wallach), Chris (Yul Brynner) procede al reclutamento degli uomini che lo accompagneranno nella missione. E’ una delle parti migliori del film. Volti che sono già o che diventeranno icone del cinema vengono presentati uno ad uno in un susseguirsi di scene meravigliosamente concatenate. Una formula che , in quegli anni, funziona molto bene. Si pensi agli incipit di film come “I cannoni di Navarone” (J. Lee Thompson – 1960), “Quella sporca dozzina” (Robert Aldrich – 1967), “I 4 dell’oca selvaggia” (Andrew V. McLaglen – 1978). Ecco dunque Vin (Steve McQueen), fedelissimo, senza macchia e senza paura; Britt (James Coburn), imbattibile nel lancio del coltello, che preferisce alla pistola; Bernardo (Charles Bronson, “Bernardo” anche nella versione originale), massiccio, duro e bonario, capace di affezionarsi ai bambini figli dei campesinos; Chico (Horst Buchholz, “Colorado” nella versione italiana), il più giovane del gruppo, in lotta contro il suo super-io (Chris), di cui subisce il fascino; infine, Lee (Robert Vaughn) e Harry (Brad Dexter), i meno coraggiosi e disinteressati che, nello scontro finale, riveleranno le loro ambiguità e debolezze. Alla fine, i “buoni” sconfiggeranno ovviamente i “cattivi”, ma quattro “magnifici” su sette ci lasceranno la pelle.
Ho voluto evocare i singoli personaggi, perché la prova d’attori è senza dubbio l’aspetto che più mi colpì quando vidi il film per la prima volta (la prima di una lunga serie). In questo mi sento confortato dal fatto che ben tre dei protagonisti sono stati successivamente utilizzati da Sergio Leone nei suoi mitici western: Eli Wallach (“il brutto”, qui anche “cattivo”), Charles Bronson (“Armonica”, in “C’era una volta il West”, forse il suo miglior ruolo di sempre) e James Coburn, (l’irlandese ed ”esplosivo” John in “Giù la testa”).
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