Regia di Luis Buñuel vedi scheda film
"La componente sado-masochista spesso presente nell'opera di Bunuel assume una particolare evidenza in questo film imperniato sulle aberranti esperienze erotiche di una ninfomane. Si tratta, in sostanza, di una vera e propria antologia della perversione sessuale, negativa sotto tutti gli aspetti...". Con queste durissime parole il Centro Cattolico Cinematografico bocciò senza appello il film più celebre di Bunuel, contribuendo a sancirne il divieto ai minori di 18 anni alla sua uscita nel nostro paese. Questo però non ostacolò il trionfo commerciale del film, l'unico del maestro, Leone d'Oro alla Mostra di Venezia del 1967, dove fu accolto trionfalmente sia dalla critica che dal pubblico. Purtroppo i fondamentali tagli imposti dalla censura rendono incompleta e a tratti incomprensibile un'opera coraggiosa e modernissima, capace di vivisezionare, sotto l'apparenza di un racconto rosa ed elegante, con tagliente ironia e intelligente sarcasmo, l'ipocrisia disarmante e sconsolante dell'agiata borghesia, di cui la bella protagonista è un'impeccabile esponente, nonché l'eccessiva rigidità e schematismo di un cattolicesimo ancorato a valori troppo desueti. Sospeso tra sogno e realtà, anche nel finale ambiguo e misterioso, volutamente lasciato alla libera interpretazione dello spettatore, condotto in una dimensione ambivalente suggestiva e avvolgente, "Bella di giorno" ha una struttura binaria imperniata sulla doppia personalità della protagonista. Severine è una donna masochista e frigida, moglie di un medico parigino: di giorno dalle due alle cinque diviene prostituta in una casa di appuntamenti, spinta da un ambiguo senso di colpa, ed è costretta a soddisfare le perversioni più impensabili di facoltosi clienti. Severine è ossessionata da sogni ricorrenti in cui di volta in volta il marito, nella realtà irreprensibile ed un suo amico, il viscido Husson, sono complici e alleati nelle punizioni che le infliggono: lei sempre legata ad un albero viene di volta in volta frustata violentemente, colpita e sporcata con del fango, contesa in un duello. Il continuo rimando tra realtà e sogno, il contrasto tra il marito Pierre (da lei adorato) e l'amico di lui, il depravato Husson (da lei detestato), nonché i flashback sull'infanzia riportano al tema centrale del racconto: sessualità e cattolicesimo. Misterioso (la scatola ronzante del cliente orientale), scabroso e morboso (l'episodio del duca con Severine distesa nella bara), estremamente inquietante nel suo ritrarre un mondo in progressivo disfacimento morale, distrutto da una perversione malata e deviata destinata alla definitiva perdizione. "L'ambiguità del finale, la sua inconclusione, pone il suggello sull'infelice parabola di Severine: dall'inferno non si esce perché esso è vasto quanto la terra" (Auro Bernardi). Un film di desolante attualità e disarmante preveggenza dominato dall'algida e raffinata bellezza di una Catherine Deneuve in stato di grazia, meravigliosa nell'impersonare con tale trasporto e forza un personaggio così difficile e disturbato. Tre scene sono state tagliate dall'ignobile censura italiana: nella sequenza iniziale manca una breve scena di raccordo in cui Severine è trascinata a terra dai cocchieri; nella scena del castello del duca è stato sforbiciato il percorso che, coperta solo di un velo nero, Severine compie per raggiungere la cappella dove poi sarà stesa in una bara. Infine, il taglio più grave, è stata eliminata le sequenza fondamentale in cui Severine bambina rifiuta di ricevere la prima comunione, inserita come flashback mentre da adulta sale le scale del bordello. Nel commentare lo straordinario successo del film Bunuel, con la consueta ironia, lo attribuiva "alle puttane del film più che al mio lavoro". Davvero impagabile.
Voto: 8
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