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Lola - Donna di vita

Regia di Jacques Demy vedi scheda film

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La recensione su Lola - Donna di vita

di callme Snake
6 stelle

Offuscato dai suoi celebri colleghi (Godard, Truffaut, Rohmer, Chabrol, Resnais), Jacques Demy va tuttavia annoverato tra gli iniziatori della Nouvelle Vague, fosse solo per il bellissimo cortometraggio Le bel indifférent (1957), scritto da Cocteau e spunto per il Godard di Charlotte et son Jules (1958).
Il suo primo lungometraggio, Lola (1960) si situa temporalmente a fianco dei capolavori che tutti conosciamo: è la storia di una ragazza madre che attende per sette anni il ritorno del suo uomo, Michel; è la storia di Roland, pigro e annoiato, che riscopre l'amore incontrando quella Cecile (vero nome di Lola) di cui si era invaghito da ragazzino; è la storia di Cecile, una ragazzina che sta per compiere 14 anni e che si innamora di un marinaio, Frankie, il quale ha una relazione con Lola/Cecile, che va a letto con lui solo perché le ricorda Michel...e tutti, per un motivo qualsiasi, stanno per partire...
Narrato con ironia e freschezza, Lola è (secondo le parole di Demy stesso), un "musical senza musica" (per motivi di budget), una raffinata commedia tutta giocata sulle relazioni, spesso mai consumate, tra i protagonisti, sulle dinamiche del desiderio (come nello struggente Le bel indifférent) e sul dolore della solitudine. Il dramma è sempre dietro la porta, ma lì rimane, perché dalla visione di Demy tuttavia emerge la bellezza dell'amore anche nel dolore, poiché "anche l'attesa della felicità ha già in sé un po' di felicità".
Ciò che abbassa il livello di un film innovativo, a parte il confronto obbligato con i coetanei giganti della Nouvelle Vague, è la caratterizzazione dei personaggi, spesso evanescenti e bidimensionali, in un lavoro che si regge in gran parte su questi. Anouk Aimée è ammagliante, ma la sua performance è in parte sacrificata da una caratterizzazione che difficilmente si scosta da quella di una ragazza sbarazzina e sognante che attende il suo amore in un mondo crudele. Mi si può obbiettare che anche i personaggi di Une femme est une femme (1961) sono bidimensionali ed evanescenti, ed è vero: soltanto che gli intenti di Godard e quelli di Demy differiscono. Nel primo abbiamo l'intenzione si svelare il cinema ed i suoi processi, nel secondo il tentativo di dipingere un affresco umano in cui ogni personaggio desidera e cerca qualcuno che può solo sfiorare (anticipando persino un genere tipico del cinema americano degli anni '90, il film corale alla Altman, alla Anderson e, perché no, alla Tarantino).
Il film, oltre ad avere due "sequel" dello stesso Demy (Les parapluies de Cherbourg, nel 1964; Model Shop, nel 1969), si fa notare anche per una discreta dose di citazionismo: si fa riferimento ad un certo Poiccard, che faceva rapine e che è stato ucciso (chiaro rimando a Fino all'ultimo respiro), mentre in Une femme est une femme viene rievocato l'universo di Lola nella scena al cabaret. La pellicola è inoltre dedicata a Max Ophuls.

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