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Riso amaro

Regia di Giuseppe De Santis vedi scheda film

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La recensione su Riso amaro

di tafo
8 stelle

Il neorealismo di De Santis era capace di sporcarsi le mani con il noir americano e di descrivere il popolo in pose frontali da cinema sovietico. Nei suoi melodrammi privato e sociale devono camminare insieme, la voce-volto che ci introduce nel film passa dalla storia alla cronaca senza soluzione di continuità, oggi forse datata e didascalica ma che chiarisce subito il tono dell'opera in equilibrio tra le esigenze del pubblico è la realtà del popolo che ancora non erano la stessa cosa. Cinema ambizioso che vuole apparire leggero, ammiccante verso il pubblico che va al cinema a vedere uno dei corpi più sensuali simbolo di prosperità e di bellezza, di un Italia al femminile che legge i fotoromanzi e che cerca il principe azzurro. Il regista vuole raccontare altro, di un paese che comincia a mal sopportare i lavori duri che cerca di fregare i propri simili con scorciatoie poco pulite. Nella definizione della stesso regista Silvana rappresenta
<< il tipo dei giovani inconscienti, incapaci di comprendere la propria condizione e di lottare accanto ai propri compagni, perchè deviati verso una vita fittizia che li condanna all'annientamento >>. 
Pubblico e popolo in lei coincidono dove la realtà del lavoro in risaia si confonde con la lettura di Grand Hotel. Questa confusione non può che essere pericolosa nel momento in cui si devono fare i conti con la tragica realtà. Dietro al corpo importante della Mangano c'è una vita di lavoro, un popolo di poveri che non può permettersi di dividersi e di farsi indebolire. Il problema vero del cinema di De Santis è che la forma e le forme hanno la meglio sulla sostanza, l'estetica passionale sull'etica comunista senza riuscire a vedere nel sacrificio personale un grido d'allarme per tutto il popolo italiano affinchè non diventasse pubblico. 

Su Vittorio Gassman

ruolo poco usuale di cattivo ma convince.

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