Regia di William Friedkin vedi scheda film
Nessuna delle persone che lavorò a questa pellicola, sicuramente si aspettava nè il boom economico che ne seguì, nè sopratutto il successo in termini di premi che ne conseguì a cominciare da ben cinque oscar, che contribuirono a lanciare un'allora sconosciuto William Friedkin nell'olimpo dei giovani registi degli anni 70'.
In effetti il Braccio violento della legge (1971) è una sorta di B-movie miracolato, girato con un basso budget che costrinse Friedkin a fare di necessità virtù, a cominciare da Gene Hackman che il regista non voleva (preferiva Paul Newman, ma era fuori budget il suo stipendio) e alcuni attori secondari nelle scelte di casting come Fernando Rey nei panni del trafficante di droga francese.
C'è un non so che di sfrontato nell'apporoccio da parte del regista nel mettere in scena questo poliziesco; non sto parlando della labilità del confine tra buoni e cattivi (su cui tornerò dopo), ma sull'approccio alla regia disinibito e totalmente libero, dove Friedkin mostra sfrontatezza e freschezza.
Avvalendosi della fotografia granulosa di Owen Roizman che conferisce un'aria cronachistica alla pellicola, Friedkin ritrae in modo impietoso e senza filtri una New York in rovina, dalle periferie abbandonate quanto degradate, con ampi sterrati, erbacce incolte e rottami in rovina; luogo ideale per il far prosperare il traffico di stupefacenti, contro cui (invano) lottano da anni due agenti della Narcotici; Doyle (Gene Hackman) e Russo (Roy Scheider), i quali oramai mostrano segni di logoramento e di insofferenza, tanto da sfogarsi in servizio contro coloro che arrestano o interrogano, anche a causa di numerosi fallimenti in precedenti operazioni che si sono rivelate un buco nell'acqua. Stavolta i due casualmente sembrano aver imbroccato una pista giusta, riguardante un grosso traffico di eroina gestito da un misterioso francese di nome Alain Charnier (Fernando Rey).
Lo stile registico di Friedkin consiste in un'approccio estremamente rigoroso e realistico, infatti il regista gira il film in luoghi reali in modo da accentuare l'approccio cronachistico verso la narrazione del film. La regia di avvale di macchina a mano, capace di rendere alla perfezione lo spaesamento provocato dalla folla umana presente nella metropoli Newyorkese, con numerosi carrelli durante gli inseguimenti, che si combinano ad inquadrature con dei punti di vista poco canonici, con l'obiettivo della macchina da presa che si focalizza su dettagli come i piedi delle persone, oppure sugli edifici della città mentre fuori campo si sentono le voci dei nostri proagonisti che snocciolano le informazioni sulle loro indagini, il tutto è combinato con un montaggio nervoso, che rende bene l'idea della rabbia e della furia dei nostri personaggi, in primis un Gene Hackman che dopo un tentativo di omicidio ai suoi danni, si lancia ad un forsennato inseguimento del criminale, che è fuggito sulla metorpolitana sopraelevata di New York. La corsa è folle, caotica e distruttiva, l'agente Doyle non ha rispetto per nessuna regola pur di raggiungere il suo obiettivo.
Abbondanti sono le inquadrature alle facciate dei locali della città, come se il regista ci volesse dire che nulla è come sembra, tanto da dover andare oltre la superficie apparente delle cose, dove dietro un bar o un caffè, si nasconde un'attività illecita (sembra quasi prefigurare Il Padrino in certe scelte); una palese critica al sogno americano, dove dietro la facciata della propaganda c'è una realtà miserevole fatta di insofferenza sociale, degrado socio-economico ed illegalità.
Il confine tra bene e male è più sfumatodel solito (con tanto di sguardo ironico della macchina da presa sugli agenti che sono costretti a mangiare un trancio di pizza al freddo, mentre i trafficanti di droga se la spassano in ristoranti di lusso), ma non come certa critica vorrebbe far intendere. Il personaggio di Hackman è brutale, amorale, violento e un pò razzista, ma la sceneggiatura e la regia non lo spingono mai alle estreme conseguenze. Il suo essere un pò fuori dalle regole deriva dalla frustrazione e dal fatto di voler raggiungere i suoi scopi, quindi anche il finale tanto elogiato più che la rottura totale del confine della legalità, ad un occhio attento ed esperto risulta essere un mero errore dettato dall'ansia di arrestare Alain.
In effetti l'unico e grosso difetto della pellicola è la totale mancanza dell'analisi socio-politica, visto che alla fine Doyle di tanto in tanto esce fuori dalle regole, ma non mette mai in discussione l'autorità da cui dipende, nè la legge (che egli non contesta mai); così facendo Friedkin oltre l'ottimo film non riesce ad andare, venendo tra l'altro superato concettualmente qualche mese dopo dal film L'Ispettore Callaghan : Il Caso Skorpio è Tuo di Don Siegel (1971), dove il protagonista è molto più sfumato e sfaccettato a tutto tondo, nell'analisi dei suoi metodi brutali e della sua visione della società anarco-destroide, che si scaglia sia contro le minoranze (che disprezza) e sia contro l'autorità e la società borghese che pretende ordine e sicurezza, senza sapere che questo richiede un costo sul campo che và ben al di là delle garanzie date dalla legge.
Tolto questo, ci troviamo innanzi ad un ottimo film, con un protagonista perfettamente in parte e che consacrerà Hackman come uno dei talenti attoriali degli anni 70' e Friedkin come nuovo regista di talento che innoverà il poliziesco e anche l'horror con il successivo Esorcista. La pellicola costata poco più di 2 milioni, incassò oltre 50 milioni, ottenendo ben 5 oscar, tra cui miglior film, regia sceneggiatura, montaggio e attore protagonista, nonostante parte della critica (tra cui Pauline Kael), che si scagliò contro il film accusandolo di fascismo e giustizialismo d'accatto; epiteti che sinceramente rigetto alla luce della visione del film, che mette in scena invece delle situazioni diffuse tra i corpi di polizia, immersi tra una legalità difficile da far rispettare (se arresti un criminale, ottieni un rimedio temporaneo, ma poi ce ne sarà un altro, perchè è la politica che deve risolvere certe situazioni che ne sono all'origine) e una frustrazione derivata dal fatto che nulla cambia. In merito agli oscar, sicuramente non sono immeritati, anche se la pellicola è palesemente inferiore a due pellicole presenti nella cinquina di quell'anno; Arancia Meccanica di Stanley Kubrick e L'Ultimo Spettacolo di Peter Bogdanovich, entrambi dei capolavori di portata epocale e di qualità incommensurabile che sono storia del cinema, ma una volta tanto non voglio fare polemiche visto che l'academy ha avuto coraggio per una volta di premiare un film smaccatamente di genere.
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