Regia di William Friedkin vedi scheda film
Il film ti si appiccica addosso già dall’incipit marsigliese: questione di facce, di luoghi, di movimenti. Il regista Friedkin muove la mdp come si muovono i suoi personaggi, come guidano le auto, come si squadrano con poche parole. Ha la capacità di realizzare un classico poliziesco, sempre calato perfettamente negli anni in cui si svolge. Sono gli anni di Don Siegel, di Clint Callaghan, ma anche di Punto zero e dei road movie. Friedkin i suoi road movie li costruisce dentro le metropoli, tesse una ragnatela che non risparmia nessuno all’interno dei vicoli, sotto i cavalcavia, nelle uscite secondarie dei locali pubblici, in quello che oggi chiamiamo i non luoghi, spazi della mente che a nessuno piace guardare troppo. Il senso realistico e il disagio che trasmettono le sue riprese non hanno eguali nello scenario urbano dell’epoca e ben presto diventeranno esempi da seguire nel suo genere. Un poliziotto di New Jork, Jimmy Doyle, è alle prese con un’indagine riguardante l’arrivo in America di un grosso quantitativo di droga proveniente dall’Europa, Marsiglia per l’appunto. Doyle si dimostra animato da grande determinazione e per arrivare fino in fondo alla missione è disposto ad infrangere e a corrompere la legge stessa, già al suo interno debole e viziata. Doyle(interpretato da Gene Hackman, premiato con l’oscar ) non è interessato alle conseguenze delle sue azioni e con il suo collega B.Russo (Roy Scheider) si muove sul confine fra legalità e illegalità, rivelando poco della sua natura (se dibattuta fra il male e il bene non ne sapremo molto, e al regista sembra non importare), per quello che traspare nella sua parte più sincera, cioè nell’agire, si può intuire una dolente ricerca di redenzione che espleta con una buona dose di ferocia. I rapporti umani sono ridotti all’osso, anche con il suo collega, compressi in una precarietà relazionale del momento e solo obbligata dalle circostanze. Numerose scene d’azione sono entrate nella storia del genere, gli inseguimenti in macchina, sul metrò, i pedinamenti, le fughe, eppure nulla è costruito, niente sembra faccia parte di un set cinematografico, Friedkin usa lo scenario urbano come il migliore set possibile, e viene premiato da un’atmosfera aderente alla realtà, nella quale lo spettatore si trova immerso con lo stessa tensione e lo stesso disagio dei protagonisti. Il film convince e coinvolge in pieno, permeato da una narrazione che sembra seguire linee improvvisate che mozzano il fiato, per niente architettate a tavolino, fra spazi di sceneggiature liberi che fanno intravedere un mondo, una società intera fuori dallo schermo molto congruente con l’esistenza di un personaggio come Doyle. Schizzi di fanghiglia e di sangue scivolano lentamente sullo specchio che Friedkin usa per mostrare da angolazioni diverse una buona parte della realtà, di difficile decifrazione, appestata di perbenismo, di false sicurezze, di superficialità. L’analisi e l’introspezione la lascia ad altri, come dire ad ognuno il suo mestiere (sporco ovviamente).
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta