Regia di Michael Curtiz vedi scheda film
Chimere come utopia di una nota irraggiungibile e costante d’una vita frenetica alla ricerca dell’impossibile: cos’è la chimera se non l’obiettivo che ci poniamo nonostante la congenita incapacità di conseguirlo?. Storia apparentemente banale di ascesa e declino di Rick, un trombettista di umili origini (il titolo italiano alternativo è esplicativo), è un veicolo recitativo per Kirk Douglas nel suo personale percorso divistico. E forse non va oltre questa dimensione, nonostante l’abilità del prolificissimo Michael Curtiz, esempio di director d’altri tempi che ha l’idea dell’incontro di un’immagine patinata per l’esperienza artistica (i saloni con l’orchestra, le stanze altoborghesi) con i cupi chiaroscuri melodrammatici (i momenti più patetici della love story con la nervosa Lauren Bacall, la deriva alcolica del protagonista con il cupo incontro col mentore Juano Hernandez). Strutturato con i codici della (finta) biografia musicale in voga almeno da un decennio, il film si propone di intrecciare gli episodi dell’esistenza di Rick agli intermezzi musicali suonati dallo stesso Rick (con una valenza probabilmente discografica per lanciare i brani diegetici sul mercato) e in parte riesce nel far comunicare i due livelli. Specialmente nel delizioso ritrattino che sa costruire del personaggio di Doris Day, innamorata mai dichiarata di Douglas che, assieme all’amico Hoagy Carmichael e al vecchio trombettista, si relaziona col mondo attraverso la musica (ma sul set pare che i rapporti tra i due divi fossero abbastanza faticosi).
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