Regia di Ridley Scott vedi scheda film
La didascalia iniziale “Los Angeles, novembre 2019” farebbe impressione anche se il pianeta stesse attraversando giorni un po’ meno angoscianti. Così anche le avventure di Rick Deckard, incaricato di “ritirare” (adorabile eufemismo) quattro androidi sfuggiti alle colonie esterne e decisi a infiltrarsi sulla Terra, sullo sfondo di una città cupa, piovosa e perennemente notturna, possono essere proficuamente rilette. Le prospettive iniziali si ribaltano: quello che in teoria dovrebbe essere il nostro eroe è un assassino, sia pure sempre più riluttante man mano che procede nel suo lavoro (a partire almeno da quando prova rimorso per aver sparato a una donna di spalle); mentre, con scelta molto opportuna, non ci viene detto pressoché nulla sulla vita precedente degli androidi, lasciando che i loro momenti vadano perduti come lacrime nella pioggia. Dà un po’ fastidio la voce off del protagonista (poi eliminata nella riedizione), che è un omaggio al noir anni ’40 ma che qui appare superflua, appesantendo la narrazione; invece, riconosciamolo senza snobismi, bisogna avere un cuore di pietra per non commuoversi davanti alla scena della morte di Rutger Hauer. Il finale sarà anche consolatorio, ma trovo che il suo disperato romanticismo sia la conclusione più giusta: indica una strada precisa, non quella di un neoumanesimo ma piuttosto quella di un postumanesimo; esprime il sogno di una palingenesi fondata su nuove basi, e può ricordare uno slogan di moda in questi ultimi tempi: “Non vogliamo tornare alla normalità, perché la normalità è il problema”. Queste sono le riflessioni che mi sono venute in mente rivedendolo.
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