Regia di Ridley Scott vedi scheda film
https://www.youtube.com/watch?v=iRUD2Daz5q8&index=5&list=PL3ABE2FBA2900C03E
Los Angeles 2019: il futuro è già qui.
La Los Angeles che sarebbe dovuta essere fra pochi mesi (un bassofondo oscuro, nebuloso, inospitale, freddo… e costantemente illuminato dall’artificio delle lampade al neon, dai barbagli dei mezzi di trasporto, dai moderni rutilanti fari dei viaggiatori metropolitani…) assume i contorni di un habitat ostile e respingente, e si fa naturale terreno di scontro fra razze; la razza del passato e quella del futuro; diverse, eppure così pericolosamente inclini all’identità, in special modo nell’attaccamento istintivo all’ultimo soffio di vita. Nella fine di tutto.
Un habitat artificiale, dove l’industria privata sovrasta l’orizzonte e doma le grandi questioni morali del proprio tempo; di ogni tempo.
Dall’apice del tempio futurista della scienza bio-ingegneristica il governo della razza è oramai una realtà… ma non solo: l’alchimia dell’eugenetica processa date di immissione; longevità e scadenza; quanto di più lontano ci sia dall’imprevedibilità del corso vitale umano.
Fuorchè per il destino comune, appunto, che non discrimina alcuno e, nell’attimo dell’ultima esalazione vitale, pacifica la coscienza degli opposti.
Una colomba si libra nel cielo squarciato d’azzurro.
Appena dopo l’acme dell’intera narrazione.
La memoria:
Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi.
La capacità di visione ed il ricordo:
Navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione...
E ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser.
L’identità e la cancellazione della traccia di sè:
E tutti quei… momenti andranno perduti, nel tempo, come lacrime… nella pioggia.
La caducità e la fine:
È tempo di morire.
La morte.
La spada di Damocle della vita (ma solo in ordine al “quando”; non certo rispetto al “se”)…
Il massimo dei misteri possibili ed immaginabili.
Per chiunque abbia la capacità di pensare (ergo essere).
Un destino comune, che si avvera nell’ignoto.
Ma il film porta in dote anche altri testi narrativi altrettanto profondi.
L’evoluzione dell’intelligenza artificiale e gli effetti collaterali del progresso tecnologico; il razionale, misurato, superbo desiderio di onnipotenza creatrice; il rivoltoso rapporto padre/creatore-figlio/creatura (ma non certo figliol prodigo) e lo scontro interrazziale (come estensione / appendice della paura del diverso): la coscienza di sé memorizzata per innesti e l’esistenzialismo nello spirito combattivo, nell’istinto di sopravvivenza e nella vitale attrazione affettiva che dà un senso agli ultimi anni; il senso della vita (la domanda delle domande).
C’è tanta carne al fuoco nel capolavoro di P.K.Dick (e poi di R.Scott). Ma c’è altresì tanta, tanta maestria tecnica.
Spazio scenico e accompagnamento musicale sono parte integrante del successo del film.
La colonna sonora di Vangelis dà materia alla suggestione dei misteri che popolano la scenografia noir del film e dà risalto (con tastiere e synth, sax e xilofoni che struggono l’anima) alle increspature emotive che percuotono nell’intimo coloro che si credono umani. A dir poco eccellente.
L’interpretazione degli attori protagonisti è semplicemente perfetta (S.Young su tutti).
Pochissimi i punti deboli. Piccole incongruenze di scrittura (il misterioso 5° replicante) non vogliono spiegare ed essere spiegate (ma nessuno ci bada). Di disturbo la virilità del protagonista imposta alla sua dolce fiamma. Unanime, pare, il giudizio sul voice over, giustamente volatilizzato nella versione del suo autore.
E, congedati (noi, come Roy dal padre) da una penetrante, brutale verità (“la luce che arde col doppio di splendore brucia per metà tempo”), non se ne può che trarre la più naturale delle conseguenze: “godi più che puoi”!
E così sia.
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