Regia di Ridley Scott vedi scheda film
“Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi. Navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione. E ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser. E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo come lacrime nella pioggia. È tempo di morire”
Nel 1982 la fantascienza cinematografica conosce il suo punto di svolta. Esce definitivamente dalle limitazioni del genere e assurge a stile, a metodo di narrazione di storie che pongono in primo piano l'uomo, le sue paure, i suoi desideri, i suoi lati oscuri e le sue aspirazioni.
Il 1982 dicevamo, e citiamo solo l'anno. La data precisa non importa, potrebbe essere la fine di giugno (quando il film esce nelle sale degli U.S.A.) o la metà di ottobre (quando arriva alle nostre latitudini).
Quello che importa è che un regista inglese che aveva già dimostrato di possedere doti non comuni nei suoi due film precedenti, Ridley Scott, in quell'anno regala al pubblico uno dei film più belli di sempre, una di quelle opere che tracciano un solco nella settima arte.
Blade Runner non è un film di fantascienza come era invece il precedente, superbo lavoro di Scott, Alien. Quest'ultimo, uscito tre anni prima, aveva elementi fortemente innovativi e una capacità visionaria che trapassava quanto visto in precedenza, era (ed è a tutt'oggi) un capolavoro straordinario ma restava in tutto e per tutto un film di fantascienza.
Non si può dire lo stesso per Blade Runner, un film dove la science fiction si fonde con il noir, l'hard boiled, il thriller psicologico. Partendo da un romanzo piuttosto ostico di Philip K. Dick (ostico nello stile come del resto l'intera produzione dello scrittore di Chicago, che vede finire i suoi giorni proprio nel 1982) Scott porta sul grande schermo la paura di un futuro relativamente vicino (allora), un incubo metropolitano di cemento e caligine sottoposto al tormento di una pioggia incessante, un inferno dantesco abbellito dagli schermi multicolori delle pubblicità e sovrastato da una torre gigantesca che sembra la derivazione di quella di Babele di biblica memoria, dove si parlava un linguaggio compreso da tutti, esattamente come nella Los Angeles del 2019.
Una città e un pianeta (la Terra ovviamente) da cui l'umanità cerca di fuggire. La tecnologia regna sovrana in questa distopia ma i palazzi sono fatiscenti e un senso di abbandono regna dovunque. In un simile contesto l'uomo sembra aver perso la sua essenza più intima, ma la scintilla che dovrebbe essere dentro ogni esemplare della nostra specie viene cercata disperatamente dai Replicanti, androidi ipercomplessi, macchine da lavoro e da guerra create per colonizzare altri pianeti.
E mentre gli uomini, quelli tali di natura, disperdono la loro anima in una realtà allucinata, relitti alla deriva in un mondo moribondo, i replicanti, uomini posticci, reclamano a gran voce il loro diritto a poter avere un futuro e a vivere i propri sentimenti, insomma il diritto ad avere la loro umanità.
I progettisti hanno voluto sostituirsi a Dio ma non si può scherzare con l'anima della persone, anche se quelle persone formalmente non sono tali e un'anima non ce la dovrebbero avere.
Blade Runner è un'opera di una tale complessità che parlarne in poche righe è pressoché impresa disperata, gli spunti di riflessione che arrivano sono tali e tanti che rischiano di travolgere chi affronta il discorso senza la necessaria preparazione.
Si tratta di una pellicola talmente profonda che alla sua uscita non venne compresa appieno dal pubblico, e gli incassi furono modesti in proporzione agli investimenti che vennero fatti.
Ma al di là di ogni affermazione che può essere fatta, più o meno legittimamente, su Blade Runner, resta il fatto, incontestabile, che lo spettatore si trova di fronte a un'opera tra le più emozionanti della storia del cinema, e non è certo un caso se da subito si creò un seguito di affezionati.
Chi entrò allora in sala aspettandosi un classico film di fantascienza restò forse deluso. Ma quello stesso, rivedendolo e cogliendone l'intensità alla fine ha compreso che l'opera di Scott appartiene a quella ristretta schiera di titoli che sfuggono le limitazioni del genere.
E nell'universo malato e inumano di Blade Runner alla fine, incredibilmente, a trionfare è proprio l'uomo. Vince l'amore che ha le sinuose forme e gli occhi intensi di Rachel (una Sean Young bella da far male al cuore) e vince, soprattutto, la voglia di vivere e di sognare, come dimostra quella meravigliosa scena, citata in apertura di recensione, in cui il replicante Roy Batty e il cacciatore di androidi Rick Deckard (Rutger Hauer e Harrison Ford, semplicemente perfetti nei rispettivi ruoli, anche se mi sbilancio e dico che Hauer è letteralmente strepitoso in quella parte) si fronteggiano.
Scena che a distanza di tantissimi anni riesce ancora a toccare le corde più profonde in ognuno di noi.
Capolavoro senza tempo.
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