Regia di Pietro Germi vedi scheda film
IL CINEMA AI TEMPI DELLA QUARANTENA
Nel caldo pomeriggio dell'estate siciliana, presso la casa di un noto e stimato impresario edile di Sciacca, la giovane e bellissima figlia minorenne Agnese si ritrova l'unica, in quel grande appsrtamento silenzioso, rimasta indenne al sonno postprandiale che coglie tutti i suoi familiari, eccetto che per lei e Peppino Califano, promesso sposo della dormiente sorella di lei, Matilde.
Fatto sta che l'attrazione eservitata dalla giovane per l'uomo si rivela incontrollato, a tal punto da lasciar agire i sensi a scapito del pudore e della decenza, fino ad arrivare alla consumazione di un furtivo ma appassionato rapporto sessuale, tra le tende e i suppellettili di uno sgabuzzino a pochi passi dalla sorella di lei e promessa sposa dormiente di lui.
Peccato che la ragazza si ritrovi gravida, e Peppino rinneghi vigliaccamente, ma risolutamente, ogni responsabilità al riguardo. Isolata in una camera senza uscita, Agnese diviene l'ossessione per il dispotico e risolutore padre, il corpulento Don Vincenzo Ascalone, che, da quel momento, non farà altro che escogitare sistemi anche avveniristici atti a salvare onore e reputazione, indirizzati, oltre che a maritare come illibate entrambe le figlie, la più piccola ed attraente delle quali versa invece in ben differente condizione, anche a salvaguardare l' indiscusso buon nome della stirpe, e mettendo a tacere le immancabili maliziose dicerie di strada.
Al secondo appuntamento con la fortunata trilogia che Pietro Germi ha inteso dedicare all'italica ipocrisia, Sedotta e abbandonata si presenta come una indiavolata, ironica, esilarante commedia degli equivoci in cui sarcasmo e situazioni grottesche riescono a dipingere alla perfezione la macchietta di una Italietta di provincia vigliacca ed opportunista, che rinnega l'evidenza e sceglie il compromesso più bieco nel tentativo di salvare le apparenze, prima di ogni altro.
Con Germi e la sua splendida trilogia, la commedia italiana raggiunge probabilmente il suo massimo apice, prediletta e riconosciuta anche ufficialmente nei premi che il film si guadagnò in occasione della sua uscita in sala, ove il film trionfo commetcialmente non meno che il già fortunatissimo Divorzio all'italiana. In Concorso al Festival di Cannes, alla pellicola venne riconosciuto il premio al miglior attore in favore di Saro Urzì, qui strepitoso nei panni del risoluto ed inarrestabile Don Vincenzo Ascalone, ed impegnato in uno dei suoi molti ruoli sfaccettati che lo videro impegnato nel lavoro di Germi, e forse qui nella sua miglior parte in assoluto.
Lo affiancano, parimenti godibilissimi se non esilaranti, Aldo Puglisi nel ruolo del vigliacco e opportunista Peppino Califano, Leopoldo Trieste, fantastico nel ruolo dello sdentato barone decaduto Rizieri, ipotetico marito "riparatore" della figlia tradita Matilda, e Aldo Buzzanca, inconcludente fratello "giustiziere" di Agnese, in realtà gran combinaguai. E poi lei, Stefania Sandrelli, nel ruolo della conturbante Agnese Ascalone, un po' vittima, un po' mantide, se non proprio puttana, repressa e vittima dalla sua stessa incontrollata, conturbante avvenenza.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta