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Moby Dick. La balena bianca

Regia di John Huston vedi scheda film

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La recensione su Moby Dick. La balena bianca

di scandoniano
8 stelle

L’atmosfera del romanzo ottocentesco di Mellville rivive sullo schermo grazie alla classe di John Houston, che riedita con una fotografia splendida ed atmosfere straordinariamente emozionanti il mito della balena bianca. Il meglio del film sta soprattutto nell’incipit, quando i personaggi vengono presentati e la storia si dipana: splendida la taverna e i suoi contrasti, le sue regole non scritte, quella sorta di noviziato che il protagonista interpretato da Richard Basehart è costretto a subire. E poi l’inizio del film vede il sermone di un incantevole Orson Welles, che in un cammeo passato alla storia incanta le folle e getta ulteriore cupezza, mascherata da timore divino, sulle già cupe e fittissime atmosfere in cui si svolgono le vicende. Welles per un attimo instilla il dubbio che le sue capacità di attore siano superiori di quelle, sconfinate, di regista, tanto è maestosa la sua prosopopea nel discorso ai fedeli e timorati di Dio, lanciata da un pulpito a forma di prua, dopo aver infilato una scaletta fatta di corda proprio come una nave vera.

Il fascino kitsch della fotografia, comprese quelle imperfezioni legate alla grana grossa della pellicola che coadiuva la putridezza di alcune situazioni virili ma a tratti subumane, confermano che il film non risente del tempo, se non per quei dialoghi maestosi ma poco scorrevoli che non possono non appartenere ad un certo cinema che è più vicino ai peplum che all’avventura a cui ci avevano abituato nei decenni precedenti le opere, per esempio, di Raoul Walsh.

Da un film di George Mèliés invece pare uscito il personaggio interpretato da Gregory Peck, il celeberrimo capitano Achab, che il divo hollywoodiano interpreta con una prossemica ante litteram, quasi da cinema degli esordi, quando il muto concentrava l’espressione tutto sulla mimica e sul linguaggio non verbale. Conciato come un novello Abramo Lincoln, ed attraverso un’interpretazione sui generis, Peck trasforma l’ontologica epicità dell’originale letterario nell’involontaria parodia di se stesso. Tuttavia la bravura di Houston, anche sceneggiatore, capace di rendere coerentemente il messaggio di Mellville, rende il film un piccolo gioiello, soprattutto sul versamte estetico.

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