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Moby Dick. La balena bianca

Regia di John Huston vedi scheda film

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La recensione su Moby Dick. La balena bianca

di munnyedwards
8 stelle

 

“Perché come potrebbe l’uomo vivere la vita del suo Dio?”

 

Fare un film da quel capolavoro della letteratura che risponde al nome di Moby Dick?
Sulla carta un lavoro da folli, una sfida impari come quello tra Achab e la balena bianca, eppure John Huston accetta la sfida riuscendo nell’impresa di non sfigurare, ci lascia così un film bello e intenso, che pur perdendo il confronto con l’originale cartaceo (naturalmente e inevitabilmente) ne rispetta l’essenza e la grande carica immaginifica.
Il mito e l’epica, questi gli assunti su cui sviluppare la storia del giovane Ismaele, anima inquieta che vaga per il mondo alla ricerca di se stesso e della vita, giunto nella città marittima di New Bedford decide di imbarcarsi sulla baleniera Pequod per un viaggio negli esotici mari del sud, lo spinge un cuore indomito e la grande forza della scoperta.
Ismaele è il protagonista indiscusso del racconto, perché ne è narratore e testimone, spettatore superstite dello scontro supremo, quello tra Achab e Moby Dick, tra l’uomo e Dio nella cornice indomita della natura, rappresentata dalla potenza del mare e dalle creature mostruose che lo popolano.

E allora eccolo Achab, metà uomo e metà balena, con quella gamba troncata e le ferite che si porta dentro, quelle che non si vedono ma che sanguinano copiose, Achab corroso dalla vendetta e schiacciato dal desiderio di rivalsa, un uomo ossessionato da qualcosa che non accetta e che detesta con tutto se stesso, quell’entità superiore trasformata in mito, quella divinità invincibile che non può e non deve esistere.
Il personaggio del Capitano Achab domina la scena, indomito e sofferente ci trasmette inquietudine ogni volta che compare sulla scena (e anche quando non lo vediamo, ma sentiamo il suo lento incedere zoppicante), con quella sua andatura traballante e gli occhi neri come la pece, straordinaria la prova attoriale di Gregory Peck, intenso e mai sopra le righe, per delineare questa figura oscura gli basta una sola sequenza, quella del confronto con il suo vice Starbuck, un monologo strepitoso in cui spiega le sue ragioni palesandosi nel contempo schiavo della follia.

 

Gregory Peck in John Huston's Moby Dick (1956)

 

John Huston come Achab, su questo non ci sono dubbi, durante la visione del film si percepisce chiaramente la vicinanza del regista al suo personaggio, una sintonia totale per indole e forse carattere, tanto che il vecchio long John non avrebbe sfigurato in scena con gamba d’avorio e cicatrice sul volto.
Ma in fondo è stato meglio così, perché la prova di Peck è indimenticabile e perché Huston si è potuto concentrare sulla regia e sul difficile compito dell’adattamento, coadiuvato dalla bella sceneggiatura di Ray Bradbury e dalla particolare fotografia (dai toni cupi e mortuari) di Oswald Morris.
Naturalmente è impossibile comprimere le dense pagine del libro di Melville in sole due ore di spettacolo cinematografico, ma le parti salienti ci sono tutte e il senso del libro è stato rispettato, la narrazione è fluida e coinvolgente, innalzata da potenti momenti allegorici, tutti i personaggi sono ben descritti e non mancano le scene da ricordare.

A cominciare dal monologo di un’irriconoscibile Orson Welles, proseguendo con l’ottima caratterizzazione di tutte le figure in scena (Ismaele, Queequeg, Starbuck, Stubb) e finendo naturalmente con Achab e Moby Dick, protagonista anche lei dell’ultima mezz’ora di film con un finale che ancora oggi affascina e coinvolge, nonostante gli effetti visivi che appaiono indubbiamente datati (siamo nel ’56).
Eppure se ce un immagine che resta impressa è quella di Achab legato per sempre al dorso della bestia bianca, che con il braccio sano ormai morto incita all’attacco i marinai del Pequod, conducendoli tutti verso il loro destino, come predetto dal pazzo Elia e come testimoniato dall’unico sopravvissuto.
Grande film, grande avventura, grande classico.

VOTO: 8.5

 

Nota: "Questo film rappresenta la più importante dichiarazione di principi che abbia mai fatto. [...] Si è troppo discusso sul significato di Moby Dick che si pretende segreto, enigmatico. Per quel che mi riguarda, non c'è alcun enigma. Si tratta, nero su bianco, di un'immensa bestemmia.
Mi ha stupito il fatto che nessuno abbia protestato, ma la bestemmia è così essenziale al racconto che si deve accettarla per forza. Achab è l'uomo che odia Dio e che vede nella balena bianca la maschera della perfidia del Creatore.
Considera il Creatore un assassino e vede in se stesso colui che ha la missione di ucciderlo. Achab è l'uomo che ha compreso l'impostura di Dio, questo distruttore dell'uomo. E la sua caccia non tende che ad affrontarlo faccia a faccia, sotto la forma di Moby Dick, per strappargli la maschera."

(John Huston, Morando Morandini - Ed. Castoro)

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