Regia di Marco Ferreri vedi scheda film
L’abbinamento di una canzone di Nino D’Angelo e il faccione piangente di Jerry Calà fanno pensare di primo acchito a un film trash. In realtà trattasi di DIARIO DI UN VIZIO di Marco Ferreri e l’immagine di Benito (il personaggio di Calà) che fissa il mare con le lacrime agli occhi ed entra in acqua ci rassicura. Il regista di DILLINGER E’ MORTO, stavolta, rovescia la filosofia del suo cinema aprendo con la fine l’inizio dell’ennesima e bellissima storia di solitudine umana. Benito sbarca il lunario vendendo detersivi con un amico che li trascina su un carrello della spesa. Vive in una pensione e come compagnia ha un diario in cui annota e registra gli stati fisici e psichici del suo corpo e della sua anima. Fidanzato con la bella e infedele Luigia, Benito perennemente in bolletta è anche un singolare seduttore di donne che incontra durante le peregrinazioni lavorative e solitarie. Non serviranno ricoveri psichiatrici, sveltine e decentramenti a reprimere la congenita infelicità. “L’uomo di Ferreri è costretto ad accontentarsi di surrogati per poter sopravvivere”, in DIARIO DI UN VIZIO è il diario appunto. Strumento d’introspezione e riflessione personale, bollettino medico del protagonista. Un ulteriore surrogato sono la galleria di donne materne, disponibili, difficili, intrattabili, puttane e infedeli che riempiono e svuotano Benito. Film ferreriano fino al midollo nella narrazione antinarrativa, nello stile volutamente (e solo in apparenza) sciatto, nelle scenografie, nei toni grotteschi che alleviano la tristezza di fondo dell’opera sensuale e precaria come la condizione lavorativa ed esistenziale del protagonista. Sesso e cibo, le ossessioni storiche qui sono declinate in modo diverso, specie la seconda. Benito ruba una collanina a Luigia per potersi pagare un pranzo in riva al mare, i soldi che non bastano mai. Il cinema dell’autore milanese è eterno come i temi affrontati, futuribile (più si andrà avanti e meglio verrà capito e apprezzato). Chissà se con la trovata dei detersivi SPLENDOR ci ha voluto dire che il cinema era morto e si è trasformato in un prodotto di consumo, un detersivo per cessi. Probabile. Nel 1993 fu un flop e Calà ignorato. Ferreri lo scelse per motivi commerciali impossibili e incompatibili con il suo cinema, eppure svuotandolo di tutti gli orpelli e vezzi da comico anni ottanta, oggi risulta perfetto, credibile, assurdo e nel ruolo più bello della sua carriera monocorde e ripetitiva. Lanciò Sabrina Ferilli dal talento fisico e (perché no) recitativo naturale, da “rondine pura”. In un ruolo minore appare la pornostar Jessica Rizzo che fa il verso a Francesca Dellera. Imprescindibile il sax di Gato Barbieri.
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