Regia di Jane Campion vedi scheda film
Secondo me, ampiamente sopravvalutato.
A tratti ozioso e in fin dei conti ambiguo. Farò storcere il naso a qualcuno, ma il film più conosciuto e più premiato di Jane Campion mi è sembrato il tipico prodotto concepito al fine di ottenere qualche statuetta a Hollywood e, più sorprendentemente, una palma d’oro a Cannes. L’incipit, con immagini sicuramente suggestive e una voce fuori campo che sembra annunciare una storia avvincente, lascia ben presto il campo ad uno svolgimento prevedibile, poco originale e pieno di tempi morti. Ambientare la vicenda nella Nuova Zelanda di metà XIX secolo e immergerla in scenari esotici, con un blando e purtroppo non sviluppato tentativo di osservazione antropologica dell’etnia maori, non basta a suscitare un particolare interesse per un triangolo amoroso come se ne sono visti a centinia in ogni forma di espressione artistica, dal cinema alla letteratura, dal teatro alla lirica. Mi permetto inoltre di contestare l’opinione secondo cui la regista e sceneggiatrice avrebbe avuto il merito di offrire il punto di vista di una donna sulla sessualità e il trasporto amoroso femminili. Sono categorie che mi irritano. Per nostra fortuna, passione e sessualità sono vissuti individuali che rendono possibili un’infinita varietà di relazioni umane. Questo sopravvalutato film di Jane Campion vince secondo me la sua scommessa cinematografica puntando sull’illusione ottica di una fotografia che cattura lo spettatore e sull’illusione acustica di una musica, bella sì, ma simil-classico-ruffiana. Così, si riesce a far dimenticare l’esilità della trama e il gioco è fatto!
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