Regia di Sergej M. Ejzenstejn vedi scheda film
Il suicidio di un operaio falsamente accusato del furto di un micrometro è la scintilla che innesca uno sciopero, duramente represso dalla polizia. Come poi ne La corazzata Potemkin, Ejzenstejn racconta la rivoluzione allo stato sorgivo: parte da una premessa ideologica (una frase di Lenin che inneggia all’organizzazione del proletariato), descrive l’insoddisfazione degli operai per le dure condizioni di lavoro, introduce una causa occasionale che agisce da catalizzatore, poi mostra grandi folle in movimento; è un episodio esemplare che ha la consequenzialità di un sillogismo. Certo, il manicheismo incombe: la raffigurazione dei capitalisti, sgradevoli grassoni sdraiati su poltrone in pelle (umana?) e intenti a fumare sigari, sarebbe sembrata caricaturale anche a Capra; ma sono ingenuità perdonabili. Comunque il maggiore interesse, come si può prevedere, consiste nella forma: il film è pieno di invenzioni visive, che non si limitano al montaggio analogico tanto amato da Calboni (la disumanizzazione di spie e provocatori viene evidenziata dall’immediato accostamento agli animali da cui traggono il soprannome: Bertuccia, Mastino, Volpe, Gufo) ma comprendono anche foto che si animano e, verso la fine, il contenuto di una boccetta di inchiostro che si sparge sulla mappa della città come fosse sangue.
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