Regia di Sergej M. Ejzenstejn vedi scheda film
Il volto in negativo del film è una sinistra e tronfia caricatura del potere capitalistico e militare, dedito allo sfruttamento e all'oppressione; ad essa fa da contorno la ridicolizzazione dei suoi gregari, tramite l'accostamento fisiognomico ad animali selvatici. Le spie del regime sono equiparate a bestie di un serraglio. Il movimento è concitato ma ordinato, sviluppato su più piani, in un saliscendi di persone che riproduce il funzionamento dei grandi macchinari industriali. Gli uomini arrampicati sulle strutture metalliche sono l'emblema della rivoluzione industriale: la fusione tra uomo e macchina realizza un ingranaggio produttivo che mette in moto anche i meccanismi del pensiero, innescando quei processi mentali ed ispirando quelle iniziative capaci di generare svolte storiche. L'arrampicata diviene allora ascesa e infine conquista: gli scioperanti che si passano la voce da un lato all'altro della fabbrica sono la metafora del modo in cui, nel popolo, si diffondono le idee politiche, dando vita ad un'azione concertata. Il treno e il serpentone umano sono le forme in cui, nel film di Ejzenstejn (vedi, soprattutto, "Ottobre") la fiumana della rivoluzione si fa avanti nel mondo: un flusso inarrestabile, eppure diretto e disciplinato, secondo il principio leninista della massa come entità che trae la propria forza dall'organizzazione. Il corteo dei manifestanti è come una valanga, che si ingrossa mano a mano che progredisce, mettendo sottosopra il paesaggio. I primi giorni dello sciopero sono quiete laboriosa per gli operai, rabbioso ozio per i dirigenti: un contrasto che Ejzenstejn gestisce con scrupolo pittorico verso i personaggi, le ambientazioni e gli oggetti. I lavoratori vivono una pace allegra e quasi bucolica nelle loro piccole case affollate, mentre i padroni affondano nella desolazione del loro impero muto e deserto. Le architetture fredde e vuote si contrappongono alle ambientazioni campestri, popolate dagli operai, e alle loro modeste stanze, in cui, però, anche la povertà delle cose è colore e movimento. La fame ha una dignità drammatica di fronte alla quale il lusso si riduce ad un trastullo giullaresco. La classe operaia appare dotata di una vitalità aperta e combattiva che attraversa tutti gli stati dell'essere, ossia la rabbia, la gioia, il dolore, mentre sull'altro lato della barricata si compiono solo sterili atti burocratici e si ordiscono vili e macchinosi sotterfugi. I due operai in fuga sono assai più furbi e veloci della spia che li bracca; e gli scioperanti sono abbastanza avveduti da non cadere nel tranello teso loro da un gruppuscolo di provocatori prezzolati usciti da una sorta di corte dei miracoli. L'essenza portante di questo film è il tumulto, che è peso in movimento, lotta ed invasione, ed è, pertanto, l'immagine della incontrastabile pressione della storia. Questa non è un'astratta spinta ideologica, bensì un impeto in carne ed ossa, che, in quanto tale, può essere represso solo lacerando la carne e spezzando le ossa.
"Sciopero" è uno spaccato di storia, di rivoluzione e controrivoluzione, in un complesso quadro sociale di azione individuale e collettiva, spontanea o preordinata, legale o clandestina.
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