Regia di Mervyn LeRoy vedi scheda film
Quest’opera, all’uscita, scosse delle polemiche riguardanti la legittimità del sistema legale statunitense durante la Depressione, e mise sotto gli occhi di tutti la straziante verità di una giurisdizione scorretta, capace di lasciare dietro le sbarre un onesto cittadino senza prove certe o affidandosi ad un criterio tangibilmente sopra le parti. Robert Elliot Burns (personaggio cui è ispirato il film di LeRoy: nella realtà era un medico), è un veterano della guerra, il quale, una volta tornato nella terra natale, trova solo l’opportunità di lavorare come operaio. Ha la passione per l’ingegneria civile e sogna di progettare ponti e strutture urbane. Purtroppo nel vagabondare tra uno stato e l’altro viene inavvertitamente coinvolto in una rapina e condannato a dieci anni di prigionia in un durissimo penitenziario del sud. I criminali vengono legati tra loro con delle catene molto simili a quelle del periodo medievale, e ricevono frustate nel caso in cui la loro attività di manutenzione nelle ferrovie e nei campi agricoli non sia abbastanza redditizia. L’unico modo di sottrarsi a quell’inferno è la fuga, ma il mondo esterno, in un momento economicamente abbastanza disastroso, sembra comunque preservare diverse rogne burocratiche nell'ambito professionale, e poche possibilità di successo imprenditoriale. L’interpretazione di Paul Muni (Burns) appare dolorosissima e nel suo volto è perfettamente palpabile il sentimento di delusione cronica ed inettitudine nei confronti di una costituzionalità spietata e corrotta in una società dove ormai i membri migliori sono costretti a pagarne le conseguenze, a causa di una prassi punitiva scandalosa delle forze dell’ordine; i secondari (attori di Hollywood non troppo noti, salvo la Farrell) si mostrano altrettanto bravi ed intensificano quest'atmosfera burrascosa di un'America degenerata, sebbene non sia completamente chiarita la capziosità sulle righe del reverendo Robert Allen (Hale Hamilton), il viscido sacerdote, il quale non crede nelle capacità di Burns, invitandolo ad intraprendere una strada più “modesta” ed esente da grandi prospettive. Un finale ambiguo circondato da un’aura di scetticismo ed amarezza di fondo chiude con disillusione “I Am a Fugitive from a Chain Gang”, attestando il lungometraggio di Mervin LeRoy quale una delle migliori pellicole carcerarie mai girate.
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