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Il processo

Regia di Orson Welles vedi scheda film

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La recensione su Il processo

di Antisistema
10 stelle

In tutta la carriera del regista c'è un altro film di Orson Welles oltre al leggendario Quarto Potere (1941), a non aver avuto problemi produttivi ed in fase di montaggio, potendo anche contare su un budget finalmente decente (poco più di 1 milione), questa pellicola è Il Processo (1962), che è quindi un film 100% Welles.

Non è un film che rispecchia fedelmente la trama del libro di Kafka, anche perché sarebbe stato impossibile un adattamento fedele all'opera originale dato lo stile complesso adoperato dallo scrittore Cecoslovacco e la narrazione tramite monologo interiore del protagonista, però come già dissi in occasione di recensione di film come Colazione da Tiffany di Blake Edwards (1961) e Il Padrino di Francis Ford Coppola (1972), la fedeltà al libro non è un elemento da prendere in considerazione nel valutare una pellicola, ma al massimo se proprio vogliamo considerare l'opera cartacea, c'è da dire che Welles è stato fedele allo spirito del romanzo, traendo da esso un adattamento cinematografico originale  e con spunti di riflessione legati anche all'attualità del suo tempo.

Orson Welles si disinteressa alla logica narrativa degli eventi narrati, che non trovano razionalità alcuna se letti alla luce dei rapporti causa-effetto, d'altronde il regista è onesto nell'inserire un racconto diegetico iniziale, che farà capire subito allo spettatore di trovarsi innanzi ad una narrazione per nulla classica. 

Josef K. (Anthony Perkins) è un borghese dell'esistenza tranquilla e normale, con un impiego d'ufficio rispettabile, finché un giorno al suo risveglio si ritrova in camera sua degli agenti di polizia che gli dicono che è in arresto, senza però rivelargli né la gravità del reato né tantomeno i capi d'accusa.

 

 

Le risposte alle domande del signor K. sono ondivaghe ed indefinite, spesso poste sottoforma di ulteriori domande che finiscono con il porre ulteriore incertezza nella mente di Josef.

La vicenda priva di locazione spaziali definite, sembra collocarsi in un paese indefinito dell'est europa sotto la dittatura sovietica fatto di stradoni deserti e ed edifici dalle architetture imponenti ma uguali a sé stesse, simbolo di forzata massificazione sociale. È l'elogio delle architetture in cemento e metallo, in cui l'umanità è alienata come automi al servizio di un sistema molto più grande di loro, che li annienta in ogni individualità come la massa di lavoratori fissi alla scrivania nel grande ufficio lavorativo, palesemente "costruito" nella sua finzione sbattuta in faccia, quasi ad accentuare il clima spersonalizzante e farsesco a cui è obbligata la massa; inquadratura tra l'altro presa pari pari da film come L'Appartamento di Billy Wilder (1960) e la Folla di King Vidor (1928).

La narrazione diventa sempre più contorta e disinibita verso qualunque idea di razionalità, portando all'estremo lo stile di Welles, che accentua i contrasti tra bianco e nero, trasformatasi qui in un grigio cupo opprimente e claustrofobico, per via delle prospettive sfasate delle scenografie e gli obiettivi grandangolari deformano i visi dei personaggi, regalandoci atmosfere alllucinanti dall'alta sperimentazione visiva, con sequenze che arrivano a sfociare in puro horror avanguardista mescolato con l'espressismo tedesco ed i barocchismi esasperati tipici del cinema del regista. Dai piani sequenza iniziali, si passa mano a mano sempre più verso un montaggio frammentato che scompone lo spazio-tempo in una miriade di frame sempre più caotici nella loro oscuro significato.

Un film quindi pienamente Kafkiano nello spirito, che gioca dell'impossibilità di una qualsiasi distinzione tra realtà ed incubo che comprime la vicenda anche dal punto di vista temporale.

 

Romy Schneider, Anthony Perkins

Il processo (1962): Romy Schneider, Anthony Perkins

 

Questa volta la figura del titano più che incarnata da un singolo personaggio, assume le fattezze di un sistema dalle logiche incomprensibili, tramite un processo senza contraddittorio alcuno, nel quale il potere dei giudici è immenso, finendo con il negare all'uomo ciò a cui in uno stato democratico sarebbe destinato; la legge, chiudendogli in faccia le porte. Ogni tutela legale è scomparsa, chi si occupa della legge, abusa del proprio potere sfruttando per il proprio piacere le donne come emanazione esterna dellla propria autorità sempre più corrotta, perfettamente conniventi con una corrotta classe forense incarnata qui nella persona dell'avvocato Hastler (Orson Welles). Chi dovrebbe difendere la parte debole nel processo, in realtà è complice dell'apparato giudiziario farraginoso, contorto e senza fine, arrivando ad annichilire tramite ripetute umiliazioni i clienti che da anni si affidano alla loro "pseudo-professionalità", trovandosi invece in un girone infernale dantesco con attese senza fine. Josef K. assume un atteggiamento di ribellione attiva a tutto questo, gridando l'iniquita' del sistema che lo schernisce, mentre altre vittime subiscono passivamente tale situazione da tempo immemore. Si invecchia per tempi infiniti, giungendo per chi se oppone ad un sinistro finale apocalittico con chiari rimandi alla corsa agli armamenti USA-URSS. Perkins alla miglior interpretazione della sua carriera, perfettamente abile ad incarnare un individuo comune quanto sempliciotto alle prese con una situazione surreale priva di qualsiasi logica conducendo la battaglia con vigore attivo, ma sempre più chiara nel giungere ad una sconfitta. Ottimo come sempre Orson Welles e le varie attrici come Jeanne Moreau, Elsa Martinelli e la stupenda e bravissima Romy Schneider, finalmente svincolata dai panni di Sissi, in un ruolo di forte rottura. Dispiace forse la posizione del regista a favore di certe idee del centrodestra nostrano (specie Berlusconi e Salvini) sui processi, perché io sono sulle giuste posizioni giustizialiste del grande giornalista Marco Travaglio e del giudice Davigo, che giustamente subordinano il tempo dell'accertamento al principio più importante in assoluto, cioè la colpevolezza o innocenza dell'imputato, senza bestialità come la prescrizione (che nell'ordinamento anglosassone non esiste), credo che quindi la critica del regista vada letta al potere autoritario in generale, altrimenti il film diventerebbe reazionario e quindi politicamente inaccettabile.

Flop di pubblico alla sua uscita, con critiche negative da parte della stampa subumana degli Stati Uniti, evidentemente non in grado di comprendere un film di tale portata epocale, né tantomeno il romanzo di partenza troppo elevato per le loro menti poco avvezze alla vera arte. Nel tempo è stato rivalutato da qualche critico e finalmente oggi lo si può considerare un capolavoro assoluto della storia del cinema.

 

Anthony Perkins

Il processo (1962): Anthony Perkins

 

Film aggiunto alla playlist dei capolavori : //www.filmtv.it/playlist/703149/capolavori-di-una-vita-al-cinema-tracce-per-una-cineteca-for/#rfr:user-96297

 

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