Regia di Orson Welles vedi scheda film
Il Processo di Welles, l'oppressione
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Considero Rino Gaetano uno dei grandissimi della musica italiana da sempre, tutti i suoi album sono ottimi e ci sono davvero poche canzoni che salto durante l'ascolto. Di certo non vaso sullo skip quando ascolto Jet Set, un pezzo un po' datato perché parla di personaggi che conosco poco come Marina Lante e Gil Cagne' e poi dice ... "Elsa Martinelli, non ha fatto molto film e quei pochi neanche belli". E qui non posso essere d'accordo. Non so cosa avesse il compianto Rino contro la Martinelli e perché, ma la Martinelli qualche bel film l'ha fatto: la Decima Vittima con Petri, la Notte Brava con Bolognini e, soprattutto, sebbene in un piccolo ruolo (Hilda, la moglie infedele del guardiano del tribunale), Il Processo (Le Procès), il film che Orson Welles ha tratto da uno dei capolavori di Kafka. In comune con Kafka, Welles ha lasciato diversi lavori incompiuti e in ogni caso ha spesso dovuto combattere per portare a termine i suoi lavori. Solo alcuni dei suoi film hanno visto la luce come li voleva lui, Quarto Potere e, appunto, Il Processo, che Welles ha dichiarato essere probabilmente il suo miglior film più per la libertà espressiva di cui ha goduto che per il risultato finale. Un film favoloso e unico ma che deve gareggiare con gli innumerevoli capolavori di Welles.
Ho letto il libro molti anni fa e, pur rifiutando di solito di vedere film tratti da libri che ho letto, per Orson avrei fatto un'eccezione, ma il film non ha una grossa circolazione, tra gli stessi film di Welles non è considerato alla stregua di Quarto Potere, de L'infornale Quinlan o dell'Orgoglio degli Amberson. Quindi, ho visto il film solo adesso tanti anni dopo la lettura del libro. Un bene, perché un film deve avere una sua autonomia e non essere influenzato dall'immaginario creato dal libro, un libro a dir poco ingombrante. Welles mette a punto un capolavoro i cui punti di forza sono la recitazione di un gruppo straordinario di attori, la fotografia che restituisce l'atmosfera onirica del libro e il montaggio in crescendo, fino alla scena finale, non totalmente fedele al romanzo ma coerente alla chiave di lettura del film nel quale la tecnologia ha un ruolo importante, ma in prevalenza alienante.
Welles utilizza le atmosfere dei film noir per creare l'atmosfera onirica e surreale che contraddistingue anche il libro. Joseph K. vive un incubo in piena regola, accusato di un crimine del quale non è a conoscenza rimane ingarbugliato dal sistema burocratico che lo porterà ad una condanna mai pronunciata per un reato che non si conosce. Nonostante questo, K. vive un senso di colpa costante, è insicuro, e quando cerca di ribellarsi a suo stato di accusato lo fa con scarsa convinzione, quasi che si stia ribellando a se stesso. K., un anonimo impiegato, diventa individuo nel riconoscimento della sua piccolezza nei confronti del sistema che lo opprime, la polizia che chiede conto di ogni suo comportamento, l'immensa platea che assiste alla sua udienza umiliandolo, l'avvocato che lo difende ma in verità non cambia nulla della sua situazione, lo fa galleggiare nell'assurdità dell'iter giudiziario già scritto.
K. incontra una serie di personaggi surreali e gli incontri si ripetono creando una sensazione di straniamento sia per lui che per lo spettatore. Nel momento in cui Joseph K. prova a fare maggiore chiarezza sulla sua situazione vede la sua fine accelerarsi. Joseph K. è tutti noi piccoli e insignificanti individui schiacciati dalla modernità (tecnologia inclusa) che genera individui alienati che non la capacità di unirsi e difendersi, ma cercano, ognuno a modo proprio a non soccombere. K. finisce ucciso da un'esplosione atomica che probabilmente è simbolicamente la fine dell'uomo moderno.
(La sequenza di apertura è stata realizzata da Alexander Alexeieff usando il suo schermo di spilli: uno schermo in cui erano infissi perpendicolarmente migliaia di spilli retrattili, che proiettavano un'ombra a seconda del modo in cui venivano spostati. Un capolavoro nel capolavoro).
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