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Il processo

Regia di Orson Welles vedi scheda film

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FABIO1971

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La recensione su Il processo

di FABIO1971
10 stelle

"Questa storia è stata narrata in un romanzo intitolato Il processo: qualcuno ha detto che la sua logica è la logica di un sogno. Di un incubo...". Nella sua allucinata e personale rilettura del capolavoro di Franz Kafka, il genio di Orson Welles non si limita a comporre una moderna e lucida traduzione cinematografica del termine "kafkiano", ma affianca lo smagliante impatto visivo dei barocchismi della messinscena, depurandoli con la classicità stilistica del suo cinema, alla rappresentazione, mutuata dall'Espressionismo tedesco, di un universo sul baratro dell'apocalisse, allucinante, spettrale e claustrofobico, che i virtuosismi mozzafiato della regia amplificano fino a sublimarlo in una teorizzazione estetica della follia e della raggelante ineluttabilità del Caos, un dolente e disperato requiem per l'uomo moderno oppresso dal totalitarismo del Potere: nel mondo sconvolto e sconvolgente in cui il protagonista Josef K. conduce la sua anonima esistenza, l'incubo in cui precipita improvvisamente (la polizia gli piomba in casa a consegnargli un atto di comparizione in tribunale, si ritrova imputato, e poi condannato, in un processo senza che nessuno gliene sappia comunicare i motivi) e che lo condurrà, sempre più agonizzante, fino alla morte, viene dipinto da Welles con ipnotiche movenze, tra sfondi surreali (soffitti bassissimi, prospettive distorte, labirintici corridoi) e deviazioni oniriche, estremizzando il fatalismo di Kafka in un angosciante crescendo drammaturgico che solo nel finale viene lasciato deflagrare, travolgendo definitivamente l'insignificanza degli uomini e le storture opprimenti della società. Girato a budget ridotto tra Zagabria, Parigi e Roma, aperto da una sequenza animata (realizzata da Alexander Alexeieff e Claire Parker con la tecnica dello schermo di spilli retrattili, con cui l'illusione del movimento dell'immagine era ottenuto, grazie al sapiente uso dell'illuminazione, attraverso le ombre proiettate dagli spilli) e concluso dalla devastazione di un'esplosione atomica, Il processo contrappunta, poi, gli scarti nell'Assurdo delle pagine di Kafka accompagnando il peso della tragedia con la leggerezza dell'humour nero ed il gusto grottesco del paradosso, col risultato di accentuarne ancor di più l'asfissiante insostenibilità emotiva. Di potente suggestione e magistrale resa spettacolare, infine, il décor visivo in cui Welles immerge i suoi personaggi, dalla cura maniacale nella composizione delle inquadrature, al sontuoso cast d'interpreti (Anthony Perkins, Romy Schneider, Jeanne Moreau, Akim Tamiroff, lo stesso Orson Welles, Elsa Martinelli, Arnoldo Foà), dalle ombre inquietanti evocate dalla magnifica fotografia di Edmond Richard, al fascino struggente dell'Adagio per archi e organo in sol minore di Tomaso Albinoni in colonna sonora e alle straordinarie scenografie curate da Jean Mandaroux. Un capolavoro tragicamente moderno.

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