Regia di Marco Ferreri vedi scheda film
Ugo Tognazzi e Annie Girardot sono Antonio e Maria: lui è uno squattrinato imbroglione di mezza tacca, lei è una donna che, per una tragica disfunzione, ha il corpo interamente ricoperto di peli. Antonio la scova in un ospizio e la convince, intenzionato a sfruttarne economicamente le eccentriche fattezze, a venir via con lui: la porta allo zoo per insegnarle i movimenti delle scimmie, la umilia e la offende continuamente ("I peli ce li hai nel cervello"), fino a trasformarla in un fenomeno da baraccone ("Sentite la morbidezza di questo pelo? Ma che castoro, ma che cincillà", declama Tognazzi invitando i visitatori ad accarezzarle la pelle). "Ti ho tolto dall'ospizio, ti ho liberato da tutti i complessi, che cosa vuoi?": il "suo" Antonio la accompagna anche da un luminare, che la apostrofa con un perentorio "Mi pare che sia un incrocio tra un quadrumane e una negra", con lo scopo di raggranellare un altro po' di denaro consentendo di farla analizzare (e creandosi ancora ulteriore pubblicità). "Scimmia maledetta", le urla contro Antonio quando lo studioso le propone di trattenersi con lui qualche giorno per approfondirne la conoscenza e lei si rifiuta e scappa. Le suore dell'ospizio riescono a scovarla e tornano a riprendersela: la madre superiore fa anche capire ad Antonio che non può portarsela via per sfruttarla in quel modo ("Ci sono degli obblighi morali"): e lui prontamente sgancia un compenso per le suore e la sposa. Anche la vita coniuguale, però, si rivela subito problematica: "Sono tua moglie e sono una donna", si lamenta giustamente Maria con Antonio nell'irresistibile sequenza della prima notte di nozze. Un impresario teatrale le propone, poi, di esibirsi nuda in uno spettacolo di varietà a Parigi, ma questa volta è Antonio a rifiutare l'offerta, salvo poi, al grido di "L'argent, l'argent", convincersi entrambi. Intanto, però, marito e moglie iniziano lentamente ad affezionarsi l'un l'altro, diventano sempre più intimi, gli insulti ed il disprezzo vengono prontamente soppiantati dalla confidenza e dal rispetto reciproco, accettando definitivamente, nell'ambito del loro rapporto, i rispettivi ruoli, ovvero per lei quello di fenomeno da esibire e per lui quello di marito e non più di padrone sfruttatore. Proprio al matrimonio (nell'accezione più arcaica e patriarcale dell'istituzione) Ferreri dispensa le frecciate satiriche più velenose ("Sono sposata e faccio quello che decide mio marito", risponde sempre Maria), salvo poi demandare proprio al matrimonio il compito di insegnare ai due sposi a guadagnarsi reciproca stima ed affetto. A Parigi Maria e Antonio trionfano ai botteghini col loro numero pruriginoso: ma Maria, affaticata dalle troppe esibizioni, si ammala. In realtà il dottore venuto a visitarla (e che era inorridito appena vista la donna) li tranquillizza immediatamente: Maria, infatti, è incinta. Ma, subito dopo, le consiglia di abortire per evitare che possa nascere un altro mostro. Le conseguenze della loro decisione di avere ugualmente il bambino, saranno, però, terrificanti: e non è ancora finita, perchè Ferreri, dopo aver illuso lo spettatore sulla forza dell'amore, sfodererà nel raggelante finale del film il suo definitivo e raccapricciante colpo di grazia. Affarismo senza scrupoli, miserie esistenziali, amore, matrimonio, famiglia, aborto, religione, Ferreri prende di mira ogni istituzione o consuetudine sociale costringa l'uomo, nell'accettarle, ad una vita di sofferenze: il suo cinema è un cinema etico che trasfigura nelle cifre stilistiche dell'allegoria e dell'apologo satirico l'insofferenza verso la deriva dei lavori, l'iniquità sociale, la gretta falsità morale dei suoi personaggi senza scrupoli e opportunisti. Oltre al fidato Rafael Azcona (sceneggiatore di fiducia del regista fino a Ciao maschio), Marco Ferreri, al quinto lungometraggio (più l'episodio realizzato per Le italiane e l'amore), eredita dalle frequentazioni spagnole dei suoi esordi cinematografici (El pisito, Los chicos e El cochecito) la veemente ferocia dell'indignazione e l'humour grottesco ed irriverente: graffiante, sarcastico, amaro, La donna scimmia immerge i toni deliranti della commedia surreale, che Tognazzi e Annie Girardot traducono in una recitazione di esemplare rarefazione emotiva, in un controcanto iperrealistico, delimitato dagli umori corrosivi di un'ironia sempre affilata ed irresistibile e dallo squallore e dalle miserie dell'ambientazione napoletana, magistralmente contrappuntata dalla sontuosa efficacia della messinscena, a partire dalla fotografia di Aldo Tonti e fino ad arrivare alla colonna sonora curata da Teo Usuelli. Il produttore Carlo Ponti, per scampare alle maglie della censura che già falcidiarono il precedente L'ape regina, impose un ridicolo e banale happy end che, fortunatamente, venne poi eliminato in favore del finale originariamente previsto dal copione.
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