Regia di Sergej M. Ejzenstejn vedi scheda film
Un Ejzenstejn epico, che utilizza un contesto bellico medioevale per contrapporre, ancora una volta, la rigida e anonima coreografia del potere al disordinato, ma spontaneo fervore delle masse. Le celate, le croci e le tuniche dei Cavalieri dell’Ordine Teutonico compaiono al posto degli stivali, dei fucili e delle baionette de La Corazzata Potëmkin: dall’altra parte, un popolo russo di braccianti e pescatori, che combatte con le mazze e con gli arpioni, ma anche con le spade e le lance forgiate dall’instancabile opera dei fabbri. La nobiltà politica e l’utilità pratica del lavoro manuale sono la componente ideologica di regime che, però – come più tardi in Boris Barnet – viene qui gioiosamente calata in una realtà storica romanzata, a cui tutti, senza distinzione di età, sesso e condizione, sono chiamati a partecipare: uomini e donne, giovani e anziani, sono coinvolti a pari merito, perché comune è la lotta contro il nemico, così come universale è la condivisione dei sentimenti. La coralità, nella seconda parte di questo film, ha un carattere martellante ed invasivo, come di un’ondata oceanica incontenibile: prima di celebrare i riti conclusivi del lutto collettivo per i morti in guerra, del giudizio pubblico sui vinti, del festeggiamento di piazza per la vittoria, l’obiettivo insiste a lungo sulle scene di battaglia, e lo fa con grande inventiva, dinamismo ed espressività, sempre ricercando il dettaglio nell’insieme, e l’individuo nella moltitudine, secondo la tipica cifra stilistica di questo autore. La folla ritratta da Ejzenstejn continua ad essere formata da singole figure di “poveri diavoli”: tuttavia, con l’avvento del sonoro, alla dignità pittorica dei volti segnati dalle emozioni, si aggiunge, nelle parole, il decoro spirituale di una primitiva forma saggezza, vestita di modestia e impreziosita dall’ironia e dal romanticismo. Fa eccezione il personaggio, marcatamente leggendario e molto retorico, del principe Aleksandr, condottiero statuario e leader esemplare, geniale stratega e dispensatore di solenni proclami patriottici: il suo militaresco monito Colui che viene a noi con la spada in mano, perirà di spada; questo è quanto la nostra terra russa sostiene con fermezza, e sempre sosterrà è la reboante chiusa di un racconto che, per il resto, evita accuratamente il trionfalismo. La frase viene ripetuta, e appare scritta sullo schermo, a caratteri cubitali, prima della parola fine. Però ciò non ci stupisce: siamo nel 1938, e a Mosca Stalin impera, mentre da ovest Hitler incombe.
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