Regia di Rolf de Heer vedi scheda film
"Bello Bubby bimbo buono", gli mormora la madre (Benito) ansimante mentre nuda lo cavalca nutrendolo del suo amore incestuoso. Bubby è un trentacinquenne idiota che vive recluso con una madre carceriera che gli ha messo in testa che il mondo di fuori è pericoloso e che - per affrontarlo - è necessario equipaggiarsi della maschera antigas. Con loro c'è un micetto al quale Bubby replica le ingiurie materne. Il suo universo è tutto qui: una casa disadorna, la zuppa di pane e latte alla sera, una disciplina ferrea, sulla quale vigila il crocifisso. "Gesù scende giù dalla croce e ti ammazza di botte", lo avverte la madre. Le cose cambiano quando si rifà vivo il padre di Bubby, che nel frattempo ha preso i voti senza perdere i pruriti coniugali. Bubby li vede a letto, ne ha orrore, si indispettisce, li uccide. Esce finalmente di casa. Qui inizia una vita nuova che lo porta a caracollare per la città mettendosi spesso nei guai - ripete tutto quello che sente, anche le cose più sconvenienti - ma anche a trovare una band di bravi ragazzi che lo fanno cantare con loro e un'infermiera premurosa con un enorme seno materno che diventerà sua moglie.
Rolf De Heer marchia a fuoco il suo ingresso nel cinema grazie ad una coraggiosissima coproduzione tra Australia e Italia. Il suo antieroe è un Lucifero nudo che espia sul proprio corpo i peccati del mondo, un Kaspar Hauser che sembra essere il ritratto di un'innocenza atavica al di là del bene e del male. Lo interpreta uno straordinario Nicholas Hope - faccia alla Neil Young, occhi vivissimi - in un film estremo, radicale, eppure incapace di cadere in uno sperimentalismo ozioso che è non di rado il limite di film così anticonformisti ed originali. Un capolavoro, ratificato dal gran premio speciale della Giuria al Festival di Venezia, che chissà quando andrà in televisione a causa del suo corredo di blasfemità, crudezze e pornolalia.
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