Regia di Pupi Avati vedi scheda film
L'arma sfoderata da Pupi Avati in questo film è una lama a doppio taglio: il profilo più ruvido e seghettato è rivolto verso l'interno della società borghese, dedita al vizio privato come status symbol, secondo l'ammiccante principio del "si fa, ma non si dice, eppur si sa". La ridicolizzazione operata sul malcostume non ha lo scopo di sdrammatizzarlo, e non ha l'effetto di un eufemismo; al contrario, ne accentua con allegria l'assurdità, declinando il suo morboso trionfalismo nei toni grevi e ottusi dell'avanspettacolo.
Il profilo più sottile e tagliente della lama prende invece di mira gli avamposti americani della globalizzazione, da cui sono partite, dal dopoguerra ad oggi, ripetute ondate di emancipazioni taroccate, di strampalate mode "made in USA", per lo più antiestetiche e risibili, ma rese appetibili dall'etichetta della trasgressione. La rivoluzione di "Bordella" è una novità che, lì per lì, eccita all'idea, però, a conti fatti, non funziona, e non procura alcun vero piacere. Il tutto si esaurisce nel gusto di sovrapporre modelli artificiali e improvvisati a tradizioni culturali millenarie, in nome del facile guadagno e di un discutibile senso del progresso. Il principio della totale interscambiabilità dei sessi nell'atavico mercato della prostituzione è razionalmente ineccepibile, nella sua logica perfettamente simmetrica e paritaria. Tuttavia esso si pone in una grottesca antitesi con tendenze inveterate; come – volendo azzardare un paragone assai ardito - una certa democrazia d'esportazione, sacrosanta sulla carta, che, però, non riesce a produrre né pace, né giustizia, né, tantomeno, felicità.
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