Regia di Michael Curtiz vedi scheda film
Strepitoso Lionel Atwill. Affascinante technicolor, uno dei primissimi. Un secondo tempo ben ritmato e pieno di luoghi cinematografici indimenticaili come l’agnizione del vero assassino scultore e la morbosità estetica delle statue rapportate con il loro creatore e le loro vittime. Per contrastare l’egemonia horror dei prodotti Universal, la Warner si getta non su un’icona conosciuta, ma su una storia originale che affonda il suo immaginario nelle fantasie (sporche o pulite) della memoria umana. Una statua con la sua eternità, la sua eterna bellezza, la sua facile manovrabilità. Il fascino del possesso, del modellamento, della plasmazione, del potere. La paura della fragilità, dello scarto perverso e della sua svelazione. In un film datato per stile e affettazione dei personaggi, sa reggere il confronto con i vari rifacimenti di oggi proprio grazie all’essenza stessa di una storia che affonda le radici in ambiguità storiche come la rappresentazione della vita all’interno di una cornice onirica come un palcoscenico, un schermo cinematografico, una tela dipinta una pagina scritta e, perché no, un modello di cera così reale da assotigliare quel confine tra reale e irreale.
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