Regia di Dominique Othenin-Girard vedi scheda film
Esattamente come succedeva tra il primo e il secondo episodio della saga, Halloween (John Carpenter, 1978) e Halloween II (Rick Rosenthal, 1980), anche il quarto e il quinto episodio sono narrativamente contigui, e il quinto inizia proprio dove finiva il quarto, riprendendo proprio le sequenze finali. Lo stesso accade tra il settimo e l’ottavo episodio, e qui il trait d’union è addirittura Laurie Strode/Jamie Lee Curtis che poi abbandona la scena lasciando Michael senza più eredi, mentre tra quarto e quinto episodio si porta avanti un’altra traiettoria narrativa in cui Laurie Strode è morta da tempo e Michael insegue, senza mai arrendersi, la linea genetica della sorella.
Il quinto episodio della linea spuria della saga è diretto da un misconosciuto regista svizzero, in seguito attivo soprattutto per la televisione, Domenique Othenin-Girard, che, a parte i primi venti minuti di assestamento del sistema dei personaggi, è in grado da metà pellicola in avanti di sterzare clamorosamente verso l’opera espressionista e accelerare il ritmo aiutato da movimenti di macchina virtuosi e da un montaggio antinaturalistico, a tratti spiazzante. Inoltre sa giocare bene sia con l’iconografia dell’horror rurale sia con quella classica della saga, mettendo a segno non poche sequenze: quella nel fienile occupa tutta la pare centrale del film ed è un vero e sano gioco di luci e ombre, maschere e contro-maschere, mentre a seguire assistiamo alla sequenza della trappola tesa a Michael nella sua vecchia casa e al primo grande incontro/scontro con il vecchio dottor Loomis. Tra inquadrature distorte, riprese dal basso e rallenty, Othenin-Girard sa dare una forma orrorifica alla visione, chiave dopotutto della stessa visibilità e percezione di un’opera del terrore.
In più, il plauso unanime va sia alla piccola protagonista, Danielle Harris, che già nell’episodio precedente dava prova di estrema bravura e coinvolgimento, sia ovviamente al dottor Loomis. La sua rabbia ossessiva nei confronti di Michael e della legge che non sa come fermarlo si trasforma in violenza psicologica riversata sulla piccola Jamie, così eccessiva e meschina che non pochi sono i momenti in cui crediamo che il vero Male Puro si annidi proprio dietro quegli occhietti azzurri e glaciali del grande attore britannico. Inoltre, il suo tanto atteso incontro con Michael e il successivo scontro finale, sono tra i momenti più emozionanti del film.
Non va dimenticato un altro aspetto tipico di questa linea narrativa spuria, quella degli episodi 4, 5 e 6 per intenderci, ovvero la continua umanizzazione di Michael, che assisteremo anche nei successivi capitoli della linea pura, il 7 e l’8. Qui addirittura, e non è un difetto, anzi, è un valore aggiunto e inaspettato che dà carattere alla figura orchesca della saga, Michael si commuove davanti alla nipotina, ma solo per un secondo, quel breve attimo di umanità sopita che non può contro la natura ferina del Male Puro.
Il quinto è anche l’episodio dove appaiono per la prima volta sia l’uomo vestito di nero, personaggio chiave del film successivo, sia il segno runico del Thorn, anch’esso fondamentale nell’episodio 6, a conferma di un’intenzione produttiva di protrarre la saga nel futuro cambiandone la linea narrativa.
Ultima curiosità: il film, dopo essersi aperto sulle fasi finali del 4 episodio, vede Michael ferito trovare rifugio e conforto da un vecchio mountain man che vive solitario in una baracca lungo il fiume e che si prenderà cura di lui. A qualcuno non ricorda Frankenstein?
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