Regia di Arthur Penn vedi scheda film
L’avrebbe dovuto girare François Truffaut con Jane Fonda protagonista, ma il pessimo inglese dell’immenso regista francese non gliel’ha permesso. La mano passò così ad Arthur Penn e il film è diventato uno dei cult per eccellenza del cinema americano, amato dai suoi contemporanei e forse quasi dimenticato oggi. Eppure, a rivederlo oggi, quest’epopea non perde un colpo a forza di sparatorie disperate e rallenty catartici e si conferma a distanza di quarant’anni un’opera di sconvolgente attualità.
Uno dei tre o quattro film che possiamo considerare tra i fondatori della nuova Hollywood (nonché rifondatrice del suo genere), Bonnie and Clyde è innanzitutto un’impossibile storia d’amore tra due ragazzi belli e giovani cresciuti troppo in fretta a causa della grande depressione e delle circostanze famigliari, inesperti della e alla vita e per questo dirompenti nelle scelte e nei modi di agire: benché Bonnie tutto sommato scelga di seguire il delinquente Clyde perché attratta dalla sua prestanza, ben presto ci rendiamo conto che l’uomo ha più di un problema nel rapportarsi fisicamente con la sua compagna di giochi e automaticamente quello che poteva sembrare l’elemento più ovvio della vicenda (la storia d’amore, appunto) passa in secondo piano, e diventa per certi versi una cosa appurata e dall’altra tutta da scoprire.
Non a caso tornerà prepotentemente in primo piano nel finale, quando il bisogno di normalità comincia a farsi pressante più che necessario. Per il resto, si potrebbe discutere ore intere sull’effetto destabilizzante del sangue e della violenza raffigurate nel film all’interno del cinema americano di allora, proponendo non un modello di riferimento né tantomeno un’idea estetica quanto una vera e propria esigenza realistica che va incontro all’economia del racconto e alla credibilità del contesto. La svolta sta quando la coppia si unisce all’altra coppia, composta dal fratello di Clyde e da sua moglie, innamoratissimi e tormentati: la violenza si raddoppia, il sangue sgorga senza risparmio eppure la ricerca della normalità impossibile si fa sempre viva, come quando sequestrano due poveretti a cui hanno rubato un’auto o tentano di fare una vacanza come le persone comuni (con il particolare della latitanza).
Un film straripante e giustamente eccessivo, quasi toccante in un finale che sembrerebbe quasi moralista ed invece è semplicemente fedele alla storia, irrimediabilmente incastonato nella mitologia moderna grazie al ritmo e all’armonia dati dall’asciutta regia di Penn, alla colonna sonora da best seller e a cinque protagonisti da urlo (con nota al merito a Estelle Parsons che ha uno o due momenti altissimi).
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