Regia di Arthur Penn vedi scheda film
Signore e signori, qui (anno 1967) ebbe inizio la New Hollywood! Sia a livello di contenuti che a livello di stile, “Gangster Story” seppelli’ il cinema americano classico e fondo’ quello moderno. La sceneggiatura e’ complessa e articolata; la regia le conferisce vigore e respiro. C’e’ aria di liberta’, di tempi nuovi; ma c’e’ anche il sapore amaro di un sogno infranto, anzi irrealizzabile; c’e’ la disillusione di un mondo affascinante ma segnato dalla meschinita’ e dalla violenza. C’e’ l’insoddisfazione, la frustrazione, la “rabbia giovane” fomentata dalla miseria materiale, ma soprattutto da quella morale di un’America incapace di tener fede ai suoi principi fondanti. C’e’ una coppia maledetta, romantica, anarchica. E impotente (emblematiche, in questo senso, le difficolta’ di Clyde nelle performance sessuali). Il lirismo e la poesia vanno a braccetto con l’ironia e l’amoralita’ di fondo. La denuncia alle “Istituzioni” (polizia, banche, stampa) non ha niente di retorico o demagogico: e’ solo il frutto dello sfogo impulsivo di Clyde (un Warren Beatty tormentato, perfetto per la parte). Faye Dunaway, dal canto suo, e’ di una bellezza mozzafiato, pari solo alla bravura con cui rende un carattere che fara’ scuola nel cinema USA “femminista” degli anni 70. Gene Hackman era gia’ grande. Il memorabile, crudele e anti-retorico finale e’ un capolavoro di montaggio (che anticipa il Peckinpah del “Mucchio Selvaggio”).
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