Regia di Pietro Germi vedi scheda film
Bel film di Germi, intriso del suo umanesimo laico e socialisteggiante. Un film che poteva essere fatto soltanto 55 anni fa, ma che, rivisto oggi, ci ricorda che anche gli italiani sono stati emigranti, e che quello che compiono oggi i disgraziati che arrivano in Italia con mezzi di fortuna (e di sfortuna) è un altro "cammino della speranza" e spesso un cammino della disperazione. C'è qualche eccesso retorico nel film, come l'inutile tirata della voce fuori campo nel finale, così come il poco credibile comportamento irregolare da parte dei poliziotti di frontiera francesi e italiani, ma il film è ben fatto e abbastanza credibile. Come in altri film analoghi di Germi, non mancano i bambini giudiziosi e "simpaticamente" birichini, e come in altri film di Germi ha grande importanza il momento della socializzazione, espressa specialmente attraverso il canto e il vino: si pensi a momenti analoghi del "Ferroviere", dove l'osteria è il luogo in cui si viene accettati o rifiutati. Così qui il canto e il ballo fanno socializzare siciliani e bergamaschi, che, prima dell'avvento della televisione, parlano due lingue completamente diverse. Sono presenti anche accenni alla realtà sociale italiana (così come anche nel "Ferroviere"), e in particolare le lotte dei lavoratori e gli scioperi, con la conseguenza del crumiraggio. Ma il film si fa guardare perché è ben girato, ben fotografato (stupendo l'inizio alla solfatara) e ben recitato, soprattutto grazie a Vallone, alla Varzi e a Urzì, che qui interpreta la parte di un infamone che sfrutta il bisogno della povera gente.
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