Regia di Peter Greenaway vedi scheda film
Sotto la forma di una rappresentazione teatrale granguignolesca, The Baby of Macon è un'allegoria che stigmatizza l'utilizzo del corpo che viene fatto nella nostra società, uso tanto peggiore se praticato istituzionalmente dalla Chiesa. Greenaway muove dalla profezia biblica del profeta Isaia, secondo la quale «la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emanuele» (ma allora perché lo chiamò Gesù?). Dal momento della venuta al mondo, il bambino verrà sfruttato in tutti i modi possibili, da spot vivente per unguenti che ridonano una perduta virilità a miracolo vivente contro la fame e la carestia (e per un certo periodo il bambino prodigioso funziona pure), fino ad essere prima venduto nei suoi umori (saliva, urina, sangue...) e poi smembrato dopo la morte, come la quercia caduta del Pascoli. Lo sfruttamento continuerà quindi anche dopo il decesso del fanciullo divino e sarà sempre la Chiesa a beneficiarne, dopo la morte del razionalismo, rappresentato dal figlio del vescovo, le cui spoglie saranno messe in mostra alla fine dello spettacolo: uno spettacolo talmente pervasivo ed avvolgente da confondersi con la realtà. Qui il cinema barocco di Greenaway, inteso come superamento critico e provocatorio del classicismo, tocca il suo culmine estetico ed etico.
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