Regia di Billy Wilder vedi scheda film
Non so se la perfezione abbia mai avuto un suo cantore, ma se mai sia esistito certamente le sue fattezze si dovrebbero avvicinare molto a quelle di Billy Wilder. Che, bontà sua, non amava assai questo suo penultimo film, forse perché non derivante da una sua sceneggiatura ma da un copione di ferro di Ben Hecht e Charles MacArthur che già aveva partorito diverse variazioni sul genere (su tutte, La signora del venerdì con Cary Grant e Rosalind Russell).
Prima pagina appartiene a tre categorie di film: è un film divertentissimo, una scatenata commedia senza un attimo di pace nonostante una evidente impostazioni teatrale; è un capolavoro perché non perde neanche per un attimo il ritmo, perché ricostruisce un ambiente (la Chicago tra gli anni venti e trenta) con cura, dovizia di particolari, spirito del tempo, lontano da qualunque accademismo, perché conferisce alla storia ancora più nobile acidità; ed è un film sempreverde, perché, nonostante la stampa sia pressoché diventata un anacronismo per quanto riguarda l’influenza sulla pubblica opinione, si riesce a credere a questi giornalisti più scaltri che bravi. In più, la commedia ha una vena amara abbastanza evidente (incarnata anche dall’unico personaggio realmente positivo, la prostituta di Carol Burnett) ben conforme ad un contesto tutto sommato poco esilarante come la Chicago delle guerre tra bande, che si sposa alla grande con il divorante cinismo dei giornalismi.
Un cinismo d’altri tempi e per alcuni versi addirittura nostalgico malgrado l’aberrante serie di azioni messe in atto per raggiungere i propri scopi (assicurarsi lo scoop dell’evasione di un marxista condannato a morte per l’uccisione di un poliziotto di colore a ridosso delle elezioni), contraltare al cinismo di bassa lega impersonato dalla politica e dalla polizia. Valore aggiunto, se non essenziale, un cast da applausi a scena aperta, in cui eccellenti caratteristi (Vincent Gardenia, David Wayne, Charles Durning, la giovane Susan Sarandon) reggono lo strascico ai due dilaganti, immensi protagonisti, il devastante Walter Matthau e il meraviglioso Jack Lemmon.
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