Regia di Tod Browning vedi scheda film
Il film è noto per essere realmente interpretato non da attori ma da quei fenomeni da baraccone che costituivano nei primi anni del ‘900 la principale attrazione delle fiere di paese (la donna barbuta, i nani e i giganti, i fratelli siamesi, lo scheletro umano, i micro o macrocefali, gli ermafroditi, gli uomini senza braccia o senza gambe, il mezzo ragazzo, la donna uccello, …) ed è ambientato in un circo itinerante, uno di quei circhi del genere del circo Barnum, per intenderci, ma un po’ più scalcinato, nei quali, sempre in quegli anni che seguivano la Belle Époque, venivano spesso reclutati i fenomeni racimolati in giro per il mondo.
La trama
La trama è elementare, quasi teatrale (come molte trame dei film di allora, che mantenevano il vizio del palcoscenico con unità di luogo e tempo, riprese frontali, macchina fissa, lunghi piani sequenza): il nano Hans (Harry Earles, lo stesso che troviamo nel Mad Max dell’85, di Miller) è innamorato di Cleopatra, la splendida trapezista che finge di ricambiarlo attratta solo dai gruzzolo di denaro che il nano ha accumulato nel corso della sua lunga carriera. Hans, lusingato dalle attenzioni (interessate) della bella, si prepara al matrimonio e non presta ascolto agli avvertimenti di Frida, la nana realmente innamorata di lui, che lo mette in guardia dalle losche trame della trapezista in combutta col suo amante, il forzuto del circo (che di nome fa Hercules, ovviamente).
Il matrimonio viene celebrato con grande sfarzo. Cleopatra (che proprio al pranzo di nozze, un po’ brilla, si rivela l’infingarda simulatrice che è) mette in atto subito il tentativo di avvelenamento, ma viene scoperta dagli altri freaks che, coalizzati, si vendicano orrendamente (una vendetta chirurgica!) sulla perfida Cleopatra e sul suo virile ganzo.
Il regista
Ted Browning, conosce bene l’ambiente del circo perché vi ha lavorato da giovane: la leggenda narra che sia fuggito di casa a 16 anni per seguire una bella circense e che abbia provato a sbarcare il lunario cercando di fare un po’ di tutto (come si usava allora nei piccoli circhi), dall’imbonitore al prestigiatore, dal montatore di tendoni all’equilibrista, e poi il clown, il finto negro, l’illusionista, il domatore, il contorsionista e il mangiatore di serpenti; troppi tentativi, tutti evidentemente abortiti). Passa poi al cinema (allora era un passo breve!) collaborando prima col grande Griffith (perfino come attore), e girando poi, per la Universal, film muti di un certo effetto (e di successo) con trame che anticipano Freaks, come quella de Il trio infernale (del 1925) che racconta la storia di un gruppo di furfanti folli guidati da un nano travestito da neonato; o quella de Lo sconosciuto (del 1927) dove un trapezista si fa amputare le braccia per amore di una donna fobica degli abbracci maschili; o quella de Il fantasma del castello (del 1927). Nel 1931 gira Draculacol famoso Bela Lugosi, ricavando la sceneggiatura dal libro di Bram Stoker, e viene chiamato da Mayer per controbattere il successo del Frankenstein di James Whale, sempre della rivale Universal. Browning accetta e si mette d’impegno, ma ce ne mette troppo e supera ogni aspettativa. Commette due fondamentali errori (felix culpa!): usa freaks reali invece di attori, come si è detto, e ribalta la storia da cui è tratta la sceneggiatura assegnando ai “normali” il ruolo dei cattivi e ai freaks il ruolo delle vittime (che poi, nella storia, si avvicinano alla “normalità” diventando a loro volta crudeli, come tutti).
La storia del film
Nelle proiezioni di prova il film è giudicato intollerabile dai committenti stessi, oltre che dai critici e dal pubblico e non supera l’approvazione dei produttori (si narra di svenimenti fra il pubblico durante le proiezioni di prova, e di proteste, di abbandoni di sala; perfino di un aborto provocato dalle tensioni indotte da alcune scene).
Browning è licenziato e il film viene immediatamente rinnegato dalla produzione stessa e poi drasticamente censurato con tagli sostanziosi di almeno 30’(amputazioni drastiche, quasi come quelle inferte a Cleopatra), che “sacrificano” soprattutto le scene della vendetta; tagli immediatamente compensati con l’inserimento del prologo di un imbonitore (molto circense) che introduce la vicenda e da un epilogo (molto melodrammatico) con lieto fine edulcorato, che però non modificano la fisionomia del film che resta anormale - come i suoi protagonisti - e orripilante, abominevole, atroce e maledetto, repellente e morboso.
L’opera, nonostante gli emendamenti, resta in cartellone per pochissimi mesi; la proiezione è vietatain diversi Stati dell’America stessa, vietatissima (ovviamente) nella Germania nazista e nell’Italia fascista e interdetta in Inghilterra (fino agli anni ’60). La pellicola scompare dalla circolazione.
Comincia a essere distribuita in Europa, con parsimonia, solo dopo la proiezione del 1962 al festival di Cannes (pochi mesi prima della scomparsa del suo autore). In Italia il film viene presentato a Venezia nel 1967 e la Rai ne cura il doppiaggio, ma lo trasmette solo il 6 settembre 1983, su Rai 3, nella fascia notturna del mitico Fuori Orario di Enrico Gezzi.
La fama di opera maledetta
La fama di opera maledetta (meritata) contribuisce al suo successo. Il film, soprattutto fra i critici e negli ambienti culturali diventa un cult; lo si presenta e lo si esalta in ogni occasione, è celebrato da tutti come un capolavoro complesso e poliedrico (forse più di quanto lo fosse nelle intenzioni dell’autore). Da allora viene considerato l’opera capofila di un genere; lo si dice ispirato da Shakespeare (“Se ci ferite noi non sanguiniamo?”) e da Hugo (“Notre Dame de Paris” o “L’homme qui rit“) e fonte di ispirazione per molti registi come Lynch (Elephant man) e Fellini (il Circo), Terry Gilliam e Tim Burton, Jodorowsky (El topo) e Ferreri (La donna scimmia), la coppia Ciprì e Maresco e perfino Martone (Il racconto dei racconti); per gli autori della serie American Horror Story - Freak Show del 2011; e per numerosi fumettisti (Sclavi), cantanti (David Bowie, gli U2, i Marillion, il gruppo punk Ramones. La frase “uno di noi” che viene scandita dai freaks alla festa di nozze la troviamo in “Io robot” con Will Smith, in “Dreamaers” di Bertolucci, in “The Wolf of Wall Street”, nel libro di Joe R. Lansdale “Freddo nell’anima”. Non manca, ovviamente, l’omaggio-parodia da parte degli impareggiabili Simpson!
I motivi di questa fortuna - dovuta ai critici e sicuramente favorita anche dall’ostracismo e dalla fama di “film maledetto” - sono sintetizzabili attorno a quattro grappoli di argomenti.
Il primo riguarda il tema della la compassione (sin-patia) con cui l’autore presenta i “diversi”, anche per sostenere e sottolineare che i veri mostri nella storia sono le uniche due persone normali della compagnia.
Il secondo mette in evidenza quanto lo spirito che caratterizza il film sia lo specchio del clima storico della Grande Depressione e delle incertezze sociali che avevano piegato l’America nella crisi del ’29. Non a caso, si dice, negli stessi anni escono i tre capolavori del cinema horror, che sono Dracula, Frankenstein e Lo Strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde.
Il terzo punto è molto ribadito dagli studiosi più impegnati politicamente che rilevano quanto lo “spirito” del film sia intrinsecamente eversivo e radicale, narrando la presa di coscienza e la rivolta dei reietti contro i normali; ed esaltando la rivendicazione del diritto di esistere o della volontà di vendetta della feccia in rivolta contro la crème.
Infine resta la lettura diciamo così freudiana della trama: con la storia di amori infelici o torbidi, resi complicati o impossibili da handicap di natura organica o sessuale (il torso umano, l’ermafrodita, il nano, il mezzo uomo); e la tragica narrazione della frustrante coesistenza inconciliabile degli opposti, delle angosce erotiche della sessualità negata, delle ansie castratorie, dei disequilibri ineliminabili, del fascino morboso dell’inconosciuto e dell’ambigua attrattività dell’orrido.
Io credo che sia necessario notare a margine che, se lo spirito del film è in una certa misura quello proclamato dai numerosissimi celebratori dell’opera, la sostanza rimane torbidamente orrorifica e decisamente voyeurista. Sicuramente le vere intenzioni dei committenti e dei produttori (e molto probabilmente anche quelle degli autori), considerata anche l’epoca e il milieu culturale nel quale operano, erano principalmente quelle di “sfruttare” i freaks e soddisfare su larga scala i gusti pruriginosi e non certo nobili di un pubblico che, in America come in Europa (allora nei circhi come oggi nel buio dei cinema), veniva e viene attratto dal gusto malsano per le aberrazioni e dalla curiosità di vedere qualcosa di ignoto e di sconvolgente (non molto diversa, quella curiositàvisiva che incantava (attrazione e repulsione, disgusto e senso di colpa) i visitatori dei luna park, da quella “dello sguardo” dei cinefili, dei consumatori di spettacoli televisivi e dei compulsatori di video di ogni genere in rete).
I meriti
La visione del film appare comunque sempre d’impatto: e in questo risiede la iniziale sfortuna e l’indiscutibile successo della pellicola rivalutata. Le scene forti, difficili da digerire, mantengono intatta la loro capacità di inchiodare lo spettatore alla sedia e i momenti di tensione fanno veramente tremare le vene e i polsi (come, per esempio, quelli che raccontano la tempestosa notte della orrida vendetta, con i relitti umani che si muovono nel buio convergendo da ogni direzione verso la carrozza degli amanti, col torso umano che striscia nel fango col pugnale fra i denti).
Il climax viene interrotto ogni tanto (come di regola) e la pressione è stemperata da parentesi di normalità (come nelle lunghe sequenze che si soffermano sulla minuziosa descrizione quasi documentaristica delle scene di vita quotidiana dei “mostri”) o addirittura distratta da intermezzi comici (come quello del fidanzamento delle sorelle siamesi che scherzano e ridono col pagliaccio balbuziente, o quello delle microcefali che cantano e ballano) o apparentemente comici (come quando viene mostrato il torso umano che scarrella avanti e indietro sulla scena e, perfino, fuma) . Ma si sa che le pause amorfe, in tutte le narrazioni, sono fisiologiche e servono a “caricare” e potenziare il resto
Freaks comunque non è un film horror: non ha nulla a che fare col corteo gotico degli allampanati vampiri, degli schizzati squartatori di Londra, dei pallidi abitatori delle tenebre, dei traballanti cadaveri affamati di carne umana. È un film d’amore, fortemente sovversivo (più che trasgressivo), grottesco e anarchico suo malgrado, dolorosamente antirazzista, fuori dal coro, smarrito, alla deriva.
L’urlo del coro di freaks, rivolto alla sposa “È una di noi! È una di noi!” (“One of Us! One of Us!”) contiene tutto il senso del film, comunque lo si voglia leggere: protesta dura per ogni discriminazione, rivendicazione orgogliosa del diritto alla diversità (e denuncia della ambiguità della contrapposizione ipocrita fra normalità e mostruosità), affermazione libertaria della voglia di sognare e amare, maledizione oscura, angosciosa consapevolezza della comune intima natura.
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